Riflessioni sulla legacy dei processi di co-design: l’innesto all’interno di progetti di innovazione urbana

Marco Berni, Andrea Del Bono (Codesign Toscana) | Città viva | Vol III | Futuri urbani


Introduzione

A distanza di due anni dallo scoppio della pandemia, il dibattito sui futuri urbani si è intensificato andando a toccare molteplici punti come l'architettura di risposte efficaci al cambiamento climatico, la modalità di riconfigurare comunità resilienti e inclusive, lo sviluppo di potenziali economici in accordo con le nuove richieste del mercato globale, le possibili aree di intervento per la creazione di posti di lavoro, esperienze di formazione e percorsi di capacity building. Quali sono le possibilità che si intravedono negli sviluppi sociali, culturali ed economici degli ecosistemi urbani che abitiamo? Cosa si intende per “possibile”? Il tema centrale di questo capitolo è ispirato da un'esperienza pluriennale nella realizzazione di progettualità rivolte a questi interrogativi, frutto di un momento di intensificazione del dibattito sull'innovazione urbana che ha visto sia a livello regionale che a quello nazionale un allargamento (principalmente a livello di fondi e di opportunità spaziali) di uno spiraglio materiale che sostiene molteplici orizzonti progettuali, cioè l'insieme delle possibilità, delle forme socio-tecniche possibili, che ci rendono responsabili, cioè “capaci di rispondere”, di sintonizzarci con un contesto e in grado di avere una risposta commisurata a esso in ogni situazione. Questo, a nostro avviso, è un momento che ha bisogno di forme ibride, fluide e assemblate di associazionismo vivo che agiscano sul territorio evitando che le varie progettualità che stanno per nascere, o hanno già preso forma, rimangano immobili nel tempo e che, altresì, possano innescare circoli virtuosi di cambiamento.

Analizzando un caso studio che ci ha visto protagonisti come membri del collettivo Codesign Toscana, il nostro scopo è quello di andare ad arricchire il dibattito sull'applicazione delle più contemporanee iniziative di innovazione urbana. Il nostro concetto di design partecipativo si inserisce nel campo della per lo sviluppo urbano sostenibile apportando una componente ludica, informale e collaborativa dal basso. Questo approccio, dal nostro punto di vista, fa sì che si creino impatti “di rimbalzo” (ciò che, in molti dibattiti appartenenti a discipline diverse si definisce “spillover”[1]) che possano inserirsi efficacemente nella macro-progettazione e nel cambiamento portato agli utenti coinvolti nei processi di city-making. Con questi concetti ci riferiamo in ultima analisi all'empowerment, cioè «all'accrescimento dell'autoconsapevolezza dei soggetti subordinati ad aumentare la loro capacità di incidere positivamente sugli equilibri sociali» (Ciaffi e Mela 2011, p. 23). Empowerment, cioè, come potere che viene ceduto da, o che si cede a chi, ha in carico una determinata progettazione e che, a nostro avviso, rappresenta il prerequisito per curare tutte le possibilità parallele, tangenti, nascoste e informali che, seppure non immediatamente visibili nei grandi schemi di finanziamento, possono generare innovazioni con valore aggiunto e legami di cura (Puig de la Bellacasa 2017) interpretabili come rinnovate alleanze trasversali tra realtà intimamente interconnesse.

Nelle pagine che seguono offriamo in particolar modo uno spunto di riflessione che affronta le città possibili su binari paralleli: intendiamo possibile ciò che, materialmente, può sostenere la professionalità dei progettisti coinvolti nella sua realizzazione così come la realizzazione del progetto. Ci interroghiamo sulla possibilità di progetto innovativo anche in termine di sostenibilità nei futuri urbani: questo punto in particolare necessita una riflessione a livello metodologico su quali sono i processi necessari per mantenere in vita un progetto ben oltre la sua prima realizzazione. Nella prima parte del capitolo rifletteremo sul contesto di riferimento che ci ha visti impegnati in progettualità principalmente rivolte ai temi di risposte urbane ai cambiamenti climatici e di coesione sociale. È dal contesto di riferimento infatti che possiamo trarre spunti di riflessione sul tipo di città che viene proposta e su quali sono le vie percorribili nella progettazione urbana contemporanea. La descrizione delle progettualità in essere, delle modalità di progettazione e dei collettivi impegnati in attività di concettualizzazione dello spazio urbano, infine, ci aiuterà a ricostruire il modo in cui Codesign Toscana si è formato e rafforzato anche grazie a un certo tipo di sguardo sulla città. 

Questo ragionamento ci porterà a enunciare alcune delle domande che animano da tempo il nostro collettivo e a cui, in questo contesto, proviamo a rispondere offrendo una ricostruzione del progetto Moduli:Mobili, un intervento collaborativo di innovazione urbana che rende più sostanziale la nostra visione critica nei confronti di progettualità che prevedono interventi non connessi alla possibilità di perseguire percorsi di costruzione e mantenimento di empowerment. Con Moduli:Mobili mostriamo come il progetto si trasformi nel tempo, come questo sia frutto di una navigazione di un contesto complesso e in continuo mutamento in cui i progettisti diventano utenti, gli utenti progettisti, in un costante scambio di competenze incorniciato dalla necessità di tenere in vita il progetto in essere. Come mantenere unite tutte queste dimensioni? E come lavorare per il protrarsi produttivo del progetto nel tempo in modo che da esso venga emanata una fonte di ispirazione e senso di collettività? Per rispondere a queste domande ricorreremo alla metafora botanica dell'innesto, lasciando intravedere spazi di possibilità derivati dall'unione tra elementi inizialmente distinti che, se uniti e nutriti, possono sbocciare in tutto il loro potenziale.

Contesto

Sembra quantomeno implausibile non considerare il ruolo giocato dai grandi schemi di finanziamento nati nel contesto post-pandemico quando si parla di casi concreti di innovazione urbana. Il “possibile”, inteso come orizzonte progettuale applicato al futuro urbano, appare d'altronde sempre più al centro delle azioni portate avanti dalle varie amministrazioni cittadine nel tentativo di accaparrarsi risorse per la rinascita dopo un periodo emergenziale senza precedenti. Il Recovery Plan dell'Unione Europea “NextGenerationEU” rappresenta in questo panorama uno dei temi più dibattuti e da cui, realisticamente, scaturiranno la maggior parte delle spese affidate alla realizzazione di innovazioni urbane; il piano, introdotto con parole altisonanti, viene descritto: 

A once in a lifetime chance to emerge stronger from the pandemic, transform our economies and societies, and design a Europe that works for everyone (Unione Europea 2021). 

A partire da questo piano si è innescata una serie concentrica di progettualità dalla quale la città emerge come il luogo fisico in cui le complessità e i problemi si fanno vedere con maggior forza, così come le possibili soluzioni: è il caso del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), preparato dall'Italia per rilanciare l'economia dopo la pandemia e per il quale sono stati stanziati 191,5 miliardi sui 750 allocati alla ripresa europea. Il termine “città” appare nel PNRR in ben 4 delle 6 missioni generali del piano, a testimonianza di come l'ecosistema urbano sia considerato centrale nella ripresa delle attività economiche, sociali e culturali a seguito di un prolungato periodo di crisi: si parla di città nell'agenda legata alla digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo. Se ne parla sia in contrapposizione con i piccoli siti culturali (e quindi in termini di riconfigurazione di flussi turistici per valorizzare le aree interne ed evitare il sovraffollamento dei centri urbani), che in relazione alla creazione di piattaforme per grandi eventi turistici dai quali proporre itinerari turistici nazionali lungo percorsi meno noti (è il caso per esempio del programma Caput-Mundi Next Generation EU, specificamente dedicato alla riconfigurazione dei flussi turistici a partire da Roma).

Il concetto di città è centrale anche nel contesto della cosiddetta rivoluzione verde e della transizione ecologica. Questo è evidente in ottica di potenziamento e di digitalizzazione delle infrastrutture di rete, ma anche nello sviluppo di un trasporto locale più sostenibile. Infine, l'obiettivo della tutela del territorio, la salvaguardia della qualità dell'aria e della biodiversità (altri cardini del programma) individuano nell'ecosistema urbano, in particolare le aree metropolitane, un target importante per realizzare azioni rivolte alla mitigazione dell'impatto dei cambiamenti climatici: un investimento, in particolare include «lo sviluppo di boschi urbani e periurbani» (Next Generation Italia, p. 147) per una piantumazione del corrispettivo di 6.600 ettari di foreste urbane[2].

Riteniamo utile inquadrare questi finanziamenti legati a temi sociali e culturali che rispondano alle sfide della contemporaneità: è realistico, in altre parole, supporre che parlare di possibilità nell'ecosistema urbano sarà sempre più connesso alla creazione di un appeal legato alla specificità dei luoghi (con rimando alla vocazione turistica) in ottica di connessione più efficiente tra poli urbani e aree verdi (una migliore interconnettività) e di transizione ecologica legata all'integrazione sociale. Questa panoramica ci serve anche per “atterrare” nel nostro contesto di riferimento: la città di Prato. Qui, un numero crescente di progettualità innovative si sono allineate significativamente con molti degli sguardi sulla città precedentemente elencati.

È il caso del Piano di Innovazione Urbana (PIU Prato) realizzato con un contributo POR FESR 2014-2020 di oltre 7 milioni di euro (di cui la maggior parte fatto di quote del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale e quote statali) per una zona urbana di superficie di 43,5 ettari identificate nel quartiere Macrolotto Zero, «in un contesto particolarmente delicato dal punto di vista sociale» (Regione Toscana 2021). Molto è stato scritto sulla storia recente e contemporanea di questa prima periferia ovest della seconda provincia toscana per numero di abitanti. In questo contesto ci limitiamo a presentare il quartiere come un'unità urbana cresciuta vorticosamente nel secondo dopoguerra con l'afflusso di migranti dalle aree rurali della Toscana, per poi essere caratterizzato da una seconda, forte ondata migratoria dalle regioni meridionali dell'Italia. Considerato a lungo uno dei motori produttivi del distretto industriale tessile, e consacrato come esempio di commistione tra funzioni abitative e produttive dall'urbanista Bernardo Secchi, il Macrolotto Zero è oggi una delle principali zone urbane europee per concentrazione di famiglie di lavoratori migranti di origine cinese, e simbolo di una complessità culturale urbana che non sempre ha ricevuto adeguate risposte a livello di politiche urbane. Rafforzando lo spazio pubblico e i servizi del quartiere, e sostenendo l'emersione di nuovi punti di interesse, il PIU mira a generare ricadute positive, grazie a interventi di rigenerazione urbana, integrazione e intermediazione culturale. Il cuore del progetto è costituito dalla demolizione di una serie di edifici industriali situati nel quartiere e dalla loro riqualificazione al fine di ospitare nuovi punti di aggregazione, nuove funzioni sociali e servizi. 

La capacità dell'Amministrazione pratese nell'attrarre risorse e competenze relative ai grandi temi della contemporaneità urbana è visibile anche in una delle maggiori scelte progettuali oltre al PIU, e dettate dalla volontà di lavorare per la creazione di una città verde e aperta. A testimonianza di questo impegno si è inserito l'iter progettuale Prato Urban Jungle (PUJ), mirato a «interpretare la natura nelle città come una vera a propria infrastruttura territoriale» (Città di Prato 2019, p. 24). Il progetto, fortemente in linea con le tematiche affrontate a livello continentale e globale, è stato finanziato dallo schema Urban Innovative Actions del 2019, un'iniziativa dell'Unione Europea che stanzia fondi per testare soluzioni che rispondano in maniera efficace alle sfide urbane europee (Urban Innovative Actions 2021).

PUJ ha mirato a promuovere una progettazione urbana creativa e visionaria ed ha individuato in tre luoghi nevralgici del tessuto urbano pratese i punti in cui concretizzare l'innovazione; questi sono: il complesso residenziale gestito dal consorzio Edilizia Popolare Pratese (EPP) nel quartiere di San Giusto nella periferia occidentale della città, il mercato coperto realizzato in via Umberto Giordano nel quartiere Macrolotto Zero (uno degli interventi infrastrutturali del PIU), e la sede dell'ente erogatore di servizi energetici ESTRA. L'introduzione di “giungle urbane” in questi contesti rappresenta il cardine del progetto: si tratta di infrastrutture ad alta densità di verde immerse nella struttura urbana, caratterizzate dalla capacità naturale delle piante di operare positivamente nell'ecosistema città – andando, per esempio, ad «abbattere inquinanti, a ripristinare il suolo e lo spazio inutilizzati per la fruizione delle comunità, così come a trasformare aree marginali e in decadimento in hub attivi» (Comune di Prato 2019). La partnership di progetto, estremamente nutrita ed estesa, ha incluso lo studio di architettura Stefano Boeri Architetti, la start-up Pnat guidata dal biologo Stefano Mancuso, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), la società ESTRA erogatrice di energia in Toscana, le B corp certificate Greenapes e Treedom, e Legambiente Toscana. 

Con PIU e PUJ abbiamo introdotto due progettualità adottate nel contesto della città di Prato direttamente derivanti da schemi di finanziamento europei e nazionali. Sarebbe tuttavia riduttivo limitarsi ad introdurre il concetto di città possibili solo in relazione al posizionamento strategico di amministrazioni nei confronti di fondi stanziati per l'innovazione. Questa, infatti, deriva sempre di più anche da iniziative prese nella direzione opposta, cioè dal basso, attraverso progetti e strategie economiche. Il panorama italiano è ricco di esempi, ma in questo contesto ci limitiamo a citare due casi. È il caso della Scuola Azioni Collettive, promossa da Fondazione Innovazione Urbana (FIU); un progetto che mira a rafforzare il tessuto socio-economico del territorio attraverso l'attivazione di dinamiche di mutualismo e percorsi di capacity building rivolti a chi intende dar vita a nuove progettazioni urbane. La Scuola di Azioni Collettive, in particolare, intende 

sostenere la capacità del Terzo Settore, di comunità e reti civiche e attivisti cittadini di favorire il rafforzamento di valori solidali e inclusivi e di catalizzare nuove alleanze sociali tra pubblico istituzionale e pubblico comunitario, (…) [usando questi fattori] come leva su cui fondare processi di transizione giusta in città e azioni di risposta ai bisogni socio-economici e alle disuguaglianze inasprite dalla crisi.” (Fondazione Innovazione Urbana 2021)

Il secondo esempio è il Crowdfunding civico, cioè l'uso del Crowdfunding per progetti relativi a contesti civici che producono impatti socio-culturali o asset semi-pubblici (Davies 2015). In particolare prendiamo in considerazione l'esempio di Crowdfunding civico promosso dal Comune di Milano, che ha come obiettivo la riqualificazione territoriale e dei quartieri. Nell'ultimo biennio, il progetto ha garantito alle proposte selezionate che raccoglievano almeno il 40% dei fondi un cofinanziamento per il restante 60% (Gatti 2020). I risultati del Crowdfunding civico, promosso dall'Assessorato alle Politiche del lavoro, Attività produttive e Commercio del Comune di Milano, cofinanziata dall'Unione europea nell'ambito del PON Metro 2014-2020 e realizzata in collaborazione con Produzioni dal Basso e Ginger Crowdfunding hanno dato conferma di essere uno strumento prezioso a disposizione degli ecosistemi urbani, non solo per la possibilità di raccogliere risorse aggiuntive, «ma soprattutto per coinvolgere i cittadini nel ridisegnare con l'Amministrazione spazi e servizi affinché questi siano sempre più in sintonia con le esigenze degli abitanti di ogni singolo quartiere» (Comune di Milano 2021). Nonostante il successo di campagne di Crowdfunding civico debba fare i conti con la specificità dei contesti in cui queste sono portate avanti, casi come quello del Comune di Milano rappresentano uno dei modelli da perseguire affinché i cittadini possano ritrovare un senso di appartenenza verso idee e progetti condivisi, soprattutto dopo la difficile situazione vista durante l'emergenza Covid. 

La legacy del co-design

L'analisi proposta fino a questo momento è stata mirata all'emersione dei contorni della città come campo di possibilità agentive e luogo di progettazione. Resta da discutere un tema fondamentale che negli ultimi anni ha occupato un ruolo di centralità sempre maggiore; ci riferiamo al ruolo dei processi partecipativi e di co-design per le policy urbane come motore delle progettazioni stesse. Per capire la centralità di questi concetti basta sfogliare il World Cities Report, documento redatto annualmente dalle Nazioni Unite, che ci fornisce interessanti spunti di riflessione sul metodo di coinvolgimento che il “fare città” prevede. L'appeal riscosso dai processi di urbanismo partecipato nell'ultimo decennio nasce da una concezione che attribuisce importanza «al carattere aperto dei processi decisionali, come pure alla capacità di auto-organizzazione dei gruppi sociali e alla possibilità che le loro istanze possano ricevere attenzione da parte delle istituzioni» (Ciaffi e Mela 2011, p. 20). 

La e il coinvolgimento della cittadinanza ai processi di city-making oggi sono connessi nei documenti ufficiali a tematiche di grande impatto tra cui «il valore che i cittadini derivano dalle aree urbane» (United Nations 2020, p. 47), e per il quale si specifica come le politiche urbane dovrebbero essere aggiornate costantemente attraverso processi di partecipazione che riflettano le esperienze e le aspettative dei residenti delle città; la «lotta alla povertà» (Ivi, p. 63), quest'ultima intesa come un divario dovuto, tra gli altri fattori, a una mancanza di partecipazione comunitaria allo sviluppo urbano e ai processi decisionali; e «l'uguaglianza civile» (Ivi, p. 67), raggiungibile attraverso una partecipazione civica inclusiva che garantisca visibilità ai segmenti sotto rappresentati e svantaggiati nei processi decisionali dei quali spesso subiscono gli impatti maggiori. 

L'attenzione nei confronti dei processi partecipativi e della progettazione collaborativa ha coinciso anche con un numero crescente di dubbi sulla sua effettiva efficacia nel rappresentare gli interessi della cittadinanza; queste riflessioni si muovono nell'alveo di una visione critica riguardo alla partecipazione mossa già agli inizi del millennio, quando addirittura ci si chiedeva se questa forma di progettazione non potesse rappresentare una «nuova forma di tirannia» (Cooke e Kothari 2001). In questo intervento ci limitiamo più modestamente a riflettere su come, nonostante ci sia sempre più attenzione alla co-progettazione come forma di «innovazione amministrativa», è necessario indagare e sostenere il ruolo delle idee nascenti che potrebbero essere fonte di innovazione reale e di interesse generale – i cosiddetti effetti spillover. Venturi e Zandonai (2021) riflettono su come questo sia il beneficio da apportare alla comunità; «la vera rivoluzione è portata dall'approccio collaborativo alla progettazione» per la quale occorre «focalizzarsi sulla di questi processi e adottare una visione della politica che non si legittima sull'esercizio del potere e sulla gerarchia, ma nel dialogo e nella conversazione “tra pari”».

Arriviamo con queste considerazioni al concetto di co-design così come interpretato nelle nostre progettualità in Codesign Toscana: una pratica di progettazione che coinvolge utenti e altri stakeholders nel processo creativo proprio del design (Sanders e Stappers 2008). In particolare, la rilevanza e utilità del co-design è stata sottolineata quando si affrontano problemi complessi, o “wicked”, come afferma Buchanan (1992) e si progettano “cose” in risposta a sfide contemporanee (Bjögvinsson, Ehn, e Hillgren 2012). Data la sua diffusione negli anni recenti, il co-design è stato adottato come una pratica di design thinking collaborativo, dove le interazioni cooperative tra designer e non-designer risultano in una serie di impatti multipli relativi a concept innovativi, forme di empowerment della cittadinanza (Manzini 2018; Salmi e Mattelmäki 2021), di democratizzazione e partecipazione di assemblaggi socio-tecnici (Dixon 2020)

Su queste basi teoriche e attraverso la moltiplicazione delle relazioni nella dimensione urbana la pratica di Codesign Toscana mira a ottenere una cultura del co-design in grado di generale sistemi socio-tecnici dotati di autonomia progettuale con il potenziale di trasformare ed orientare l'esistente verso la sostenibilità (Irwin 2015, Manzini 2015, Sangiorgi 2010). Dall'altro lato, riflettiamo sulla caratteristica contemporanea di effimero che contraddistingue le comunità che risultano da pratiche di co-design (Manzini 2018), riconoscendo l'importanza di gestire l'impatto di questi processi una volta terminati. Per questo, l'idea che ha animato e che continua ad animare le nostre progettualità è il bisogno di investigare i legami possibili tra le idee e le relazioni nate dal co-design con le policy in essere al fine di progettare strategie per l'implementazione delle cose che emergono dal co-design (Salmi e Mattelmäki 2021, Zamenopoulos et al. 2019). La legacy delle pratiche di co-design per lo sviluppo sostenibile in contesti urbani significa, dal nostro punto di vista, focalizzarsi su quello che rimane e può essere nutrito al di fuori dei processi di co-design; significa cessione di potere a partire dalle idee nascenti dai processi stessi. Per questo ricerchiamo, attraverso le pratiche di design collaborativo, un maggiore equilibrio nei rapporti di agency tra chi ha in carico una progettazione e chi partecipa ai processi deliberativi e di co-progettazione. Questo, in ultima analisi, rappresenta il prerequisito per curare tutte le possibilità parallele e gli orizzonti progettuali.

Codesign Toscana si è rafforzata attorno a questi concetti e queste progettualità a cavallo tra il 2017 e il 2021. In questi anni siamo stati impegnati come coordinatori, progettisti e ricercatori in percorsi di immaginazione civica, co-design e ricerca nel contesto metropolitano fiorentino attraverso un impianto metodologico sperimentale e una struttura organizzativa nata dal basso. La provocazione che portiamo all'attenzione di un pubblico eterogeneo è la possibilità di creare e diffondere realtà associative, coalizioni civiche, gruppi informali o professionali dotati di autonomia progettuale e in grado di dare voce ai bisogni della cittadinanza attraverso processi di co-progettazione, ricerca socio-culturale ed empowerment diffuso; dare forma alle idee emergenti dai momenti di confronto e co-progettazione attraverso metodologie collaborative e strumenti di prototipazione rapida; aggregare competenze, energie e risorse umane in grado di supportare in maniera diffusa processi di city-making.

Alla luce di queste riflessioni proponiamo le seguenti domande di ricerca, che affrontiamo attraverso l'elaborazione del nostro caso studio: possiamo concepire uno spazio aperto nella struttura delle policy urbane per la gestione degli spillover emergenti dai processi di co-progettazione? Quali sono i requisiti minimi (composizione dei gruppi, dinamiche e strumenti per capacity building, schemi e processi di finanziamento, impatti di interesse pubblico) affinché possano essere supportate forme di innovazione a partire dai concept emersi da processi di co-design? Cosa vuol dire gestire la legacy dei processi di co-design? Quali dinamiche entrano in gioco per garantire l'autopoiesi di progetto che nasce da queste esperienze? Il contributo critico che portiamo alla discussione di Criticity si muove in questa cornice di senso e ha come presupposti l'idea di orizzontalità nei rapporti di agency nel city-making, della formazione per tutti e della capacità di immaginare soluzioni in maniera collaborativa. 

L'innesto progettuale

L'analisi di progettualità come Prato Urban Jungle è di centrale importanza per gli scopi del nostro intervento, perché dimostra come la priorità di questo tipo di innovazioni urbane si concentri in primo luogo sul ruolo delle infrastrutture: è il caso delle installazioni, degli interventi decorativi innovativi e dei dispositivi ambientali pensati come rappresentazioni delle giungle urbane (la forestazione di una parete del complesso residenziale di via Turchia; l'abbellimento della facciata della sede di ESTRA; l'installazione del sistema di depurazione dell'aria inizialmente pensato per il mercato coperto). Più complessi, e a nostro avviso urgenti, gli interventi relativi agli effetti dinamici, processuali e trasformativi di spillover che accompagnano il progetto. È proprio a questo scopo sono state pensati i Junglathon: tre giornate di co-design intensivo di accompagnamento al PUJ gestite da Codesign Toscana in cui stakeholders, abitanti e interessati di ogni genere sono stati chiamati a popolare con le loro idee questa componente di progettazione collaborativa. 

Il termine Junglathon nasce dall'idea di declinare in chiave verde il concetto di maratone creative di progettazione (Hackathon); l'idea di una lunga sessione di co-progettazione intensiva è stata adottata con lo scopo di coinvolgere in maniera dinamica e immersiva target hard-to-reach (principalmente abitanti e rappresentanti delle comunità economiche locali) in metodi di progettazione innovativi basati sul co-design e applicati con approcci e strumenti propri del design thinking (Design Council 2021). Oltre a coinvolgere un numero di almeno 30 partecipanti per area di intervento nelle sessioni di co progettazione gli obiettivi perseguiti durante i laboratori sono stati sviluppare 3 ipotesi di fattibilità rispetto alle opportunità nascenti dai progetti PUJ; sviluppare e testare i concetti emersi dai Junglathon; e infine elaborare i risultati utili per la successiva predisposizione del progetto di fattibilità tecnica. L'idea dei Junglathon è stata quella di tridimensionalizzare il concetto di foresta urbana, andando ad accrescere la densità del verde (inteso come miglioramento ecosistemico tout-court) sia verticalmente verso il cielo e lungo le pareti degli edifici, che orizzontalmente nel tessuto sociale circostante attraverso meccanismi relazionali e progettuali innescati da percorsi di partecipazione.

I Junglathon si sono basati non tanto sulla raccolta di impressioni derivate dall'installazione, bensì sulla responsabilizzazione e attivazione (Manzini 2018) di coloro che sono portatori di bisogni sociali disattesi rispetto al tema (una città poco verde, una città poco aperta). Attraverso l'ideazione collettiva di uno o più scenari futuri (Hallding 2014, Dunne e Raby, 2013) in altre parole, la possibilità urbana è stata intesa in questo caso come autonomia progettuale: ovvero la capacità di generare nuove forme relazionali da inserire nel contesto di innovazione. In questo scritto ci limiteremo a descrivere una parte del percorso Junglathon, focalizzandoci su una delle tre aree di intervento: il Mercato Coperto di via Giordano nel quartiere Macrolotto Zero. 

Qui il Junglathon si è tenuto all'interno del circolo ARCI locale, luogo storico di cittadinanza attiva situato in una delle zone più attive del quartiere. Ad aprire la giornata di co-progettazione, il 27 ottobre 2020 sono state le presentazioni sul progetto Prato Urban Jungle dell'assessore ai lavori urbani del Comune di Prato e degli architetti di Pnat che hanno fornito una panoramica tecnica. A seguito di questi due interventi i partecipanti (divisi precedentemente in maniera spontanea seguendo una serie di ispirazioni visive) si sono cimentati in esercizi di ice-breaking e brainstorming ai vari tavoli. Queste tecniche sono state finalizzate all'introduzione del modello di pensiero e dell'approccio fondamentale per affrontare le fasi successive del programma. 

Al termine di questa prima fase, i partecipanti hanno preso parte ad un'esplorazione del quartiere, quest'ultima pensata come un percorso circolare che ha visto come tappe iniziali i luoghi rivitalizzati dalle iniziative a base artistica condotte tra il 2014 e il 2016 dall'associazione Dryphoto, e come punti successivi le nuove strutture di socialità quali il cantiere della Media Library e il Playground (quest'ultimo ancora in fase di costruzione al momento dell'esplorazione urbana e inaugurato ufficialmente nel 2021). Il percorso si è poi soffermato sul mercato coperto e sulle possibilità della nuova gestione, raccogliendo alcune testimonianze da parte dei residenti. L'aspetto conviviale, a cui come vedremo si è riservato un posto di particolare importanza, è stato introdotto con il pranzo tenutosi presso la sede dello studio di architettura ECOL, ricavato in uno spazio ex industriale all'interno di una corte lungo l'arteria principale del quartiere. Qui, dopo la pausa, si è aperta la seconda fase dei laboratori, nei quali si è proceduto attraverso uno strumento di ideazione rapida utile all'emersione dei concept, poi trascritti in maniera dettagliata su supporti in formato A1.

Tra i prototipi emersi dal percorso di ideazione e co-progettazione, ci soffermiamo su uno in particolare, intitolato “Per-formare 0-100”. Il prototipo è stato sviluppato a partire dalla consapevolezza di lavorare per un maggior senso di collettività, cooperazione e consapevolezza all'interno del quartiere. Il luogo del mercato coperto (individuato nella progettazione iniziale come spazio utile all'installazione della giungla urbana) è stato riconosciuto anche in questo caso come punto di partenza. L'idea è stata quella di creare un modello formativo con interventi diffusi nel quartiere, dal mercato alle aree circostanti, che prendesse come spunto tematico la filiera agro- alimentare in termini di sensibilizzazione al consumo consapevole per poi estendersi anche ad altri ambiti dell'economia circolare. Gli elementi distintivi di questo prototipo sono stati il suo aspetto ludico, orientato alla partecipazione attiva e alla formazione declinabile sia in termini di apprendimento esperienziale, che nella formazione degli utenti attraverso la condivisione attiva di competenze.

“Per formare 0-100” ha previsto attività di varia natura tra cui un percorso formativo con moduli trasportabili dentro e fuori dal mercato coperto e aventi come oggetto varie fasi della filiera: dalla produzione del cibo fino al compostaggio e riuso degli scarti. Il supporto scelto per la realizzazione di questo centro di formazione mobile sono stati banchi di scambio/dono e riciclo di cibo e strumenti contestuali per cittadini e altri enti coinvolti nel mercato. “Per formare 0-100” è nato quindi in ottica di realizzazione di eventi di condivisione, di produzione di materia prima-seconda e di metodi di sperimentazione per incentivare l'utilizzo del banco. Al centro di questo prototipo c'è stata la volontà di condividere in chiave relazionale l'esperienza di trasformazione di materiali di scarto che portino alla realizzazione di coproduzioni di varia natura (attività per bambini, università di strada con lezioni rivolte a tutte le fasce di età che prevedano anche la partecipazione attiva di cittadini come formatori).

È opportuno fermarsi per osservare la trasformazione in corso di un progetto “macro” nel quale è stata innestata una componente di co-design, in cui l'inserimento di un forte grado di empowerment e capacità progettuale ceduta all'utenza ha rappresentato un forte valore aggiunto a quello dell'innovazione data dall'infrastruttura. Quello che vogliamo dire è che “Per-formare 0-100” non è altro che l'inizio della vera possibilità relazionale tridimensionale insita nel percorso di innovazione urbana finanziata dallo schema Urban Innovative Action. Tuttavia, in linea con il carattere fluido, processuale e in costante trasformazione con il quale avevamo esordito nella descrizione, il progetto necessita di una valorizzazione del suo iter fatto di vari passaggi, l'ultimo dei quali ci apprestiamo a descrivere.

È necessario infatti contestualizzare Prato Urban Jungle in una progettualità “incerta” iniziata a cavallo tra il 2019 e il 2020, e quindi particolarmente colpita dalla pandemia. I Junglathon, svolti nella prima finestra utile dopo il lockdown iniziato a marzo 2020, hanno rappresentato il primo sforzo di ri-attivazione del tessuto sociale colpito dal lungo stop. Giunti a conclusione delle tre giornate di co-progettazione, quindi, era quantomeno preventivabile che prototipi come “Per formare 0-100” potessero rappresentare poco più che una componente di animazione territoriale aggiunta all'intervento principale (la giungla urbana). A questo punto, tuttavia, torna ad essere utile il concetto di “possibilità” prima proposto, cioè la propensione a navigare le complessità delle “possibilità strutturali” relative ai nuovi concetti di città.

È stato infatti provvidenziale il bando Creazioni Urbane, finanziato dal Comune di Prato pensato per rivitalizzare luoghi e spazi attraverso la partecipazione e la capacità propositiva dei cittadini, che ha permesso un'ulteriore tappa all'interno del processo di legacy della progettualità nata nel solco di Prato Urban Jungle. Il finanziamento, destinato sia a spazi pubblici che privati ma ad utilizzo pubblico del territorio pratese, è rivolto a progettazioni che prestino particolare attenzione alle zone interessate da complessità sociale e dove è importante la presenza di iniziative che valorizzino il recupero dell'ambiente cittadino in ottica di promozione di socialità, azioni di presidio attivo e aggregazione (Comune di Prato 2021). Essendo nato in un contesto urbano frequentemente descritto come bisognoso di interventi di attivazione sociale, e centrato su tematiche importanti come quelle ambientali, il prototipo derivato dal percorso del Junglathon nel Macrolotto Zero ha risposto perfettamente ai criteri di ammissione.

Codesign Toscana ha quindi presentato la sua candidatura, cavalcando la caratteristica modulare di “Per formare 0-100” e trasformando il suo nome in Moduli:Mobili. Con questo nome si è voluto porre l'accento sulla possibilità di co-costruire alcuni moduli che trasportino “buone pratiche” di sostenibilità e coesione sociale nel quartiere. Il progetto si è sviluppato grazie alla collaborazione di Codesign Toscana con il Circolo ARCI Curiel e con l'associazione Futuro Domani, gestore del centro Punto Luce di Save the Children proprio nel quartiere. L'idea di base di Moduli:Mobili è stata quella di diffondere le potenzialità delle pratiche di comunità come impatti forniti dalla realizzazione di progetti di forestazione urbana. Allo stesso tempo, i Moduli:Mobili hanno inteso stimolare la creazione di giungle umane capaci di fare rete, collaborare, progettare e costruire collettivamente gli spazi, sia nelle forme materiali – moduli costruiti con materiali di riuso – che in quelle astratte – relazioni e interazioni con l'opera. Il progetto ha voluto riflettere in profondità sui concetti di giungla urbana e umana ed è stato ispirato totalmente dall'idea di rete, relazione e mutuo appoggio che rappresentano il fulcro dei sistemi vegetali.

Attraverso Moduli:Mobili Codesign Toscana ha apportato un processo di co-progettazione e co-costruzione avente l'obiettivo di fornire un'immagine il più possibile ecosistemica della città del futuro, relativamente agli spazi, alle pratiche e agli attori. Allo stesso tempo, attraverso Moduli:Mobili si è voluto indagare sulla consapevolezza riguardo alle tematiche legate all'ambiente e alla sostenibilità, interrogando la cittadinanza e trovando delle soluzioni collettive ai problemi della città contemporanea. In questo senso, l'ideazione dei moduli mobili ha previsto la valorizzazione delle buone pratiche di sostenibilità, ambientale e sociale, al fine di sensibilizzare sull'impatto delle azioni, siano esse più o meno quotidiane, e di fornire delle alternative possibili per affrontare le sfide dei nostri giorni. 

Il primo passo del percorso di Moduli:Mobili è stato la ricerca al Macrolotto Zero: le parole degli abitanti sono la base per orientare il nostro lavoro. Durante i giorni di ricerca, abbiamo somministrato 70 questionari (35 a residenti e frequentatori del mercato, e 35 ai bambini del Punto Luce). Dai questionari si è cercato principalmente di evincere il materiale di riciclo (tra tre selezionabili tra plastica, cartone e legno), la forma e la funzione preferita dagli utenti per la realizzazione dei moduli mobili. Da una prima scrematura dei dati si è passati agli incontri di co-design dove abbiamo messo le basi metteremo le basi riguardo la loro funzionalità e le modalità della loro gestione. In collaborazione con il collettivo IPER-collettivo – che si è occupato dello sviluppo del concept progettuale dell'opera – abbiamo poi lavorato su un template per co-progettare insieme pattern visivi, gli usi e le interazioni degli utenti-cittadini con il prodotto da costruire. Il laboratorio si è svolto in due giornate e ha visto la partecipazione di circa 15 persone.

La prima versione di Moduli:Mobili è stata presentata sotto forma di installazione interattiva e ludica interamente composta da materiali di riuso. L'opera, liberamente ispirata al gioco sliding puzzle (un puzzle in cui lo spazio lasciato deliberatamente libero da un pezzo mancante diventa la possibilità per i restanti moduli di essere arrangiati in nuove configurazioni) è stata complementata da un pattern visivo ideato dall'artista RWX e, nell'area delle tessere centrali, vede riportate una serie di parole che possono essere spostate per creare frasi e periodi associabili all'area semantica della sostenibilità. In occasione dell'open studio, tenutosi presso Offcina Giovani il 29/10, è stato organizzato un buffet conviviale a cura dell'artista Andrea D'Amore, in cui i partecipanti hanno scambiato idee e impressioni.

A distanza di poche settimane, il progetto Moduli:Mobili è stato replicato sul territorio grazie alla collaborazione con due realtà del territorio: Prima con Circuito Temporaneo Urbano (CUT) posizionando l'opera in uno spazio pubblico del quartiere Soccorso (target di una serie di progettualità organizzate dal collettivo); successivamente all'interno di Wonderful Market (WOM), mercato temporaneo vintage che da anni anima la piana metropolitana, e che si è tenuto proprio all'interno del mercato coperto. Da queste ultime due esperienze si è evinto il concetto che sta alla base dell'installazione: quello del cambiamento continuo, della facilitazione all'emersione di comunità temporanee, e della sensibilizzazione a buone pratiche legate alla sostenibilità.

Riflessioni conclusive e sfide di ricerca

In botanica, l'innesto è definito come «operazione con cui si fa concrescere sopra una pianta […] una parte di un altro vegetale della stessa specie o di specie differenti […], al fine di formare un nuovo individuo più pregiato o più produttivo o più giovane» (Treccani 2021, corsivo nostro). Questa figura ci ha guidato nella ricostruzione dell'esperienza di Moduli:Mobili, attorno al quale abbiamo elaborato l'intervento sulla nostra interpretazione di città possibili: un orizzonte di innovazione creato da possibilità materiali e tenuto in vita attraverso una progettazione mirata a ciò che dalla progettazione può, e deve, continuare a nascere. Recentemente, la metafora dell'innesto è stata utilizzata da Mattern (2018; 2021) per indicare una componente integrante dell'evoluzione urbana in un'epoca in cui la coltivazione di forme urbane dipende dalla scienza informatica e in cui l'innesto diventa una metodo algoritmico e ingegnerizzato di creare le migliori condizioni urbane. La città, come un ‘palinsesto di codici, scritture e piani' (Mattern 2018: 5), viene riconosciuta come il risultato dell'innesto continuo di tecnologie digitali su una struttura pre-esistente. Con lo stesso obiettivo di riferirci ad un organismo in continua trasformazione, la metafora dell'innesto ci è stata di aiuto nell'indicare la differente provenienza e processualità di due progettazioni, Prato Urban Jungle e Moduli:Mobili nella creazione di un orizzonte progettuale in cui la previsione di una legacy diventi parte integrante della progettazione dell'infrastruttura. La prima (PUJ), pianta giovane cresciuta grazie ad un terreno fertile, cioè uno schema di finanziamento robusto ed avviato (UIA); la seconda (Moduli:Mobili), come risultato di rimbalzo a partire da un innesto (Per-Formare 0-100 + Creazioni Urbane) applicato in PUJ e cresciuto attraverso atti di cura relazionale e cessione dell'autonomia progettuale ad un network crescente di progettisti.

In questo saggio abbiamo analizzato una progettualità portata avanti da Codesign Toscana e sottolineato le necessità di supportare possibilità progettuali altre che si creano a partire da processi di co-design ed engagement inseriti in policy urbane e schemi di finanziamento più ampi. Nella ricostruzione di questo progetto ci siamo chiesti quale possa essere lo spazio per coalizioni civiche, che nascono dal basso e che si curano di queste possibilità urbane. Curare, in questo contesto, va inteso come lo sforzo di legare la società civile con lo sviluppo di innovazione urbana. Significa anche pensare ai più livelli di orizzonti progettuali che si intersecano continuamente nei processi di co-design; significa radunare un territorio, legare il terzo settore e le istituzioni per rispondere rapidamente, per proporre progettualità, per sensibilizzare e fare advocacy sui temi legati allo sviluppo sostenibile. Significa, utilizzando una metafora, praticare un innesto nel tronco giovane di una pianta, cioè aprire uno spazio a monte della progettazione, per far germogliare una forma nuova, ibrida e coerente, l'autopoiesi di progetto a partire dai processi di co-design. 

Il nostro impegno, in ultima analisi, è quello di porre sempre più attenzione nei confronti dell'effetto spillover a partire da macro progettazioni. Per noi, dunque, la legacy del co-design dovrebbe rappresentare un punto fermo all'attenzione dei policy makers. Lo abbiamo spiegato facendo riferimento a questo progetto che dimostra organicamente come l'effetto spillover nasca all'interno delle progettualità attraverso il co-design e generi forme di innovazione bottom-up. Ulteriore ricerca potrebbe essere focalizzata su come prevedere e normare gli innesti per la generazione di spillover di progetto, sostenerlo attraverso finanziamenti per una fase di sviluppo concept, assemblare coalizioni civiche sui territori al fine di curare le nuove progettazioni attraverso dinamiche ulteriori di sussidiarietà. 

Bibliografia

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Note

  1. Basta una breve ricerca dell'espressione “spillover effect” per accedere a una lunga lista di articoli accademici interessati ad argomenti che coprono dalla chimica ai problemi sociali, dall'economia pubblica alla psicologia ambientale passando per il management dell'innovazione.

  2. A chiudere la panoramica si annoverano le missioni relative alle “infrastrutture per una mobilità sostenibile” e “inclusione sociale”. Per quanto riguarda la prima, le città ricopriranno inevitabilmente un ruolo di primo piano in quanto nodi di una rete ferroviaria metropolitana e nazionale diffusa di centri di interesse di cui si prevede il potenziamento «al fine di garantire servizi capillari con alte frequenze, sostenendo così la domanda di mobilità espressa dalle grandi città metropolitane e dalle aree urbane di medie dimensioni.» (Next Generation Italia, p. 162). Gli obiettivi di rigenerazione urbana e housing sociale, infine, riguardano gli interventi previsti in ottica di trasformazione dei territori vulnerabili in città “smart e sostenibili” (Ivi, p. 213) limitando il consumo di suolo edificabile e prevede una pianificazione urbanistica partecipata.