Prendiamoci la città. Vogliamo tutto!

Marvi Maggio | Città ostile | Vol I | Futuri urbani


Il programma Prendiamoci la città lanciato da Lotta Continua nel 1970 risuona ancora oggi come un obiettivo irrinunciabile. Ma in quale contesto sociale, politico, economico e territoriale è nato? Quale significato aveva allora per tutti quelli che gli hanno dato vita? Quali sono i caratteri che lo hanno reso così significativo e promettente? E quindi, cosa ha da insegnarci oggi?

– In questa società schifosa che distrugge la voglia di vivere, l'intelligenza delle masse, la natura
– In questa società schifosa che vive dello sfruttamento di milioni e milioni di uomini, donne, bambini, vecchi da parte di un pugno di padroni bastardi
– In queste città trasformate in galere, dove tutto: la fabbrica, il quartiere, la caserma, la scuola, l'asilo, è contro i proletari, contro la loro volontà di crescere, sviluppare la propria forza, conoscere, imparare collettivamente
– In queste città razziste dove tutto divide gli sfruttati, gli uomini dalle donne, i genitori dai figli, i proletari emigrati dai locali, gli operai dagli studenti; in queste città
SIAMO TUTTI STRANIERI SIAMO TUTTI EMIGRATI
Tutto ciò che esiste, l'intera società, la ricchezza delle nazioni, l'abbiamo costruita noi, è il prodotto del nostro lavoro sfruttato, della nostra miseria. È TUTTO NOSTRO.
PRENDIAMO TUTTO, PRENDIAMO LA SOCIETÀ, Prendiamoci la città.
Prendiamoci le case, le scuole, i trasporti, gli asili. Le piazze, le strade devono diventare i luoghi in cui riconoscersi, unirci, discutere, decidere, lottare. Impariamo a vivere in modo nuovo: impariamo a odiare i nostri nemici e a essere solidali con i nostri compagni.
PRENDIAMOCI LA CITTÀ: COSTRUIAMO QUI E OGGI NELLA LOTTA E CON LA LOTTA LA SOCIETÀ COMUNISTA” (Lotta Continua, 11 dicembre, 1970)

Le ipotesi rivoluzionarie e Prendiamoci la città

Nel novembre 1970 Lotta Continua lancia il programma Prendiamoci la città che sposta l'attenzione dalla fabbrica, che secondo la sua analisi non è più in grado di trainare il movimento, al terreno sociale. Lotta Continua nasce nel maggio-giugno 1969 durante la grande esplosione della lotta operaia alla Fiat Mirafiori (fabbrica automobilistica di Torino), dove l'espressione “lotta continua” compare come intestazione dei volantini dell'assemblea operai studenti; il primo novembre 1969 esce il giornale Lotta Continua che si configura come il progetto di un'organizzazione nazionale e diventerà quotidiano il 18 aprile 1972. Lotta Continua (1969-1976) è un'organizzazione della nuova sinistra, marxista, movimentista, anti-capitalista, rivoluzionaria, comunista che ha fatto parte di una delle più importanti esperienze di opposizione rivoluzionaria dell'Europa del XX secolo. Dichiara senza mezzi termini che Unione Sovietica e paesi che si dicono comunisti, non lo sono. Il programma politico di Lotta Continua è “quello dell'unificazione di tutto il proletariato, della lotta armata contro lo Stato borghese, dell'abolizione delle classi e del lavoro salariato, del comunismo” (LC, 11 dicembre 1970). La lotta armata contro lo stato definito borghese, non è prevista da subito, bensì solo quando lo scontro generale tra le classi sarà giunto alla fase finale. Rispetto alle effettive prospettive del processo rivoluzionario in Italia, fino al 1973 LC ritiene che la radicalità dei movimenti avrebbe dischiuso nuove possibilità attraverso uno scontro generale. Ma nel 1973 appare chiaro che lo scontro non c'è stato e i tempi della rivoluzione si prospettano lunghi. La situazione politica è instabile ma non rivoluzionaria: secondo LC fra le masse c'è un'egemonia revisionista, intesa come accettazione della razionalità capitalista, espressa dal Partito Comunista Italiano. LC ritiene che il partito della rivoluzione in Italia maturerà dall'incontro-scontro fra gli operai autonomi e quelli influenzati dal revisionismo. L'obiettivo è la conquista di larghe masse. Il colpo di stato in Cile del settembre 1973 secondo LC mostra la necessità di affrontare il problema della violenza dello stato, dei suoi apparati militari e dell'imperialismo. LC ritiene che il colpo di stato sia dovuto all'incapacità del governo Allende di affrontare quella violenza. Il problema infatti è come sconfiggere la reazione armata dell'avversario sul suo stesso terreno: golpear el golpe.

Il programma Prendiamoci la città è gradualistico-alternativo: non vuol dire fare la rivoluzione, ma è considerata una fase della rivoluzione e il problema della lotta armata per la presa del potere è ancora lontano: «tutte le lotte devono essere misurate rispetto alla forza, alla coscienza, all'unità, all'autonomia che con esse i proletari si conquistano, cioè ai passi avanti compiuti verso la presa del potere» (LC 11 giugno 1971). L'ipotesi è che attraverso le lotte i proletari conquistino forza, coscienza, unità e autonomia, intesa come rifiuto del lavoro salariato e della divisione capitalistica del lavoro. Tuttavia, l'ottimismo progressivo di Prendiamoci la città si scontra con l'affermarsi, nella situazione politica, di una forte offensiva reazionaria. Nell'autunno del 1971 LC interviene con determinazione sul rischio di fascistizzazione dello stato, che si fonda sull'unificazione del blocco reazionario che si è andato rafforzando attraverso la strategia della tensione (le bombe neo-fasciste e dei servizi segreti “deviati”), e sulla ristrutturazione autoritaria dello stato. L'obiettivo padronale è “rovesciare il 68” e sconfiggere la lotta operaia attraverso la limitazione del diritto di sciopero e la messa fuorilegge dei gruppi rivoluzionari. Intanto è in corso una campagna di stampa contro la sinistra rivoluzionaria, ci sono scontri di piazza e arresti di massa di compagni. Questo nuovo impegno di LC nel mondo della politica mette in discussione la strategia basata sulla parola d'ordine “prendiamoci la città”. Nel convegno nazionale di LC del 1972, secondo Luigi Bobbio (Bobbio, 1988: 100), la linea “riprendiamoci la città” è liquidata in poche battute senza alcun tentativo di recuperare le importanti novità che aveva introdotto. Viene criticata per la sottovalutazione dell'arco di strumenti in mano ai “nemici di classe” e per il fatto di presentare la lotta di classe in modo gradualista. Al contrario LC ritiene necessario prepararsi a uno scontro generalizzato con un programma politico che ha come avversario lo stato e che ha come strumento ​​«l'esercizio della violenza rivoluzionaria di massa e di avanguardia». L'accentuazione della violenza di avanguardia non comporta una teorizzazione dell'attualità della lotta armata. L'idea è che la violenza sia l'essenza del dominio borghese e la politica sia la scienza della forza. L'accento viene posto sull'azione che modifica in modo diretto e immediato i rapporti di forza: lo scontro di piazza, la difesa del picchetto o di una casa occupata. Secondo molti, Lotta Continua nel corso di tutta la sua storia non ha mai abbandonato il tema introdotto da Prendiamoci la città.

La delle ipotesi rivoluzionarie e lo scioglimento nel movimento

Non è in questa sede possibile passare in rassegna tutta la storia ricca e promettente dell'organizzazione-partito, Lotta Continua, sempre sensibile alle possibilità aperte dai movimenti più innovativi di cui è sempre parte attiva e propositiva. Tuttavia si ritiene interessante notare come la sua fine sia in realtà un ritorno, ancora una volta, ai movimenti più promettenti del periodo. Nella seconda metà del 1976 si determina la crisi di tutte le ipotesi rivoluzionarie in Italia. La crisi della Democrazia Cristiana si arresta, il rafforzamento del PCI non comporta un governo delle sinistre in alternativa di potere alla DC, come aveva previsto LC, ma il compromesso storico tra PCI e DC. Appare chiaro che non si può ragionare sui tempi brevi di una trasformazione rivoluzionaria, ma bisogna affrontare tempi lunghi: nasce la consapevolezza che è finito il momento di subordinare la politica ai tempi altrui e che vada cercata una riformulazione dell'agire collettivo a partire da se stessi. A Rimini, il 31 ottobre 1976 si apre il 2° congresso nazionale di LC alla presenza di mille compagni. I momenti assembleari sono giocati sui due poli donne e operai. Le compagne invitano gli operai a mettersi in discussione a partire dal loro rapporto sessuale e dalla loro vita e dichiarano che non è possibile nessuna alleanza in quel momento fra operai e donne. Gli operai ribadiscono la centralità operaia che si riduce alla richiesta di potere agli operai nel partito e manca di qualsiasi riflessione sulla presenza effettiva della classe operaia nello scontro sociale. Il progetto che esce da Rimini – diffondere la contraddizione tra individui e politica, tra privato e pubblico, tra bisogni radicali e necessità – non ha bisogno di partito. E nel giro di pochi mesi l'organizzazione LC si sfalda. Un certo numero di compagni continua a fare riferimento a LC e a frequentare le sedi, che rimangono aperte. Le ragioni della paralisi organizzativa sono state individuate da alcuni nell'impeto delle nuove idee sprigionate dal femminismo e dalla cultura del personale; da altri nell'irresponsabilità del gruppo dirigente che ha preferito tirarsi indietro di fronte alle contraddizioni. La vicenda di Lotta Continua non si esaurisce con la sua dissoluzione organizzativa; per molti anni rimangono attivi gruppi di militanti, sparsi in tutta Italia, che cercano di mantenere qualche continuità con l'esperienza passata. E rimane il giornale quotidiano, che prosegue le pubblicazioni fino al 1982. I contenuti radicali che emergono dalla contestazione femminista e dai nuovi movimenti giovanili daranno vita a uno dei settori più rilevanti del movimento delle donne in Italia, che coniuga anticapitalismo e femminismo, e al movimento del 77.

Le ragioni del programma Prendiamoci la città

Lotta Continua considera la città uno strumento fondamentale del dominio borghese e valuta che la lotta operaia, se resta confinata nelle fabbriche, rischia di essere ricacciata indietro. Per questo, tutti i temi della condizione proletaria – dalla casa ai trasporti, ai prezzi, all'emigrazione (dal sud Italia verso il nord), alla scuola – cominciano a venir considerati come un terreno su cui estendere la lotta.
L'attenzione al sociale deriva dalla consapevolezza della miseria e dello spaventoso disagio materiale presente nelle condizioni di abitazione, di salute e di istruzione, nella realtà quotidiana della vita proletaria soprattutto nelle grandi concentrazioni urbane e nelle zone a più alta disoccupazione (LC 12 novembre 1970). Lotta Continua sottolinea che queste condizioni stanno già provocando «un'esplosione di lotte sul terreno sociale che costituisce probabilmente il fatto decisivo di questa fase» (LC 12 nove 1970).
Prendersi la fabbrica nelle grandi lotte degli anni 1968-69

ha significato rovesciare l'uso capitalistico della fabbrica, trasformare l'unità oggettiva della produzione salariata in unità soggettiva, politica della lotta contro la produzione. La fabbrica è diventata il luogo in cui attraverso le fermate, le assemblee, i cortei, l'unità di classe degli operaia si è ricomposta e organizzata. Prendersi la città vuol dire allo stesso modo rovesciare la disgregazione proletaria, il controllo sulle masse esercitato attraverso la solitudine, il ricatto economico, l'ideologia borghese, nel suo contrario, nell'unità proletaria complessiva non più solo contro la produzione capitalista, ma per il diritto collettivo a una vita sociale comunista, libera dal bisogno sana e capace di felicità. (LC 12 novembre 1970 p. 3)

Attraverso il programma prendersi la città si vuole collegare il problema della casa a quello della scuola e della salute e collegare ciascuno di essi a un programma complessivo di “vita sociale emancipata”. L'idea è che tutto ciò che esiste è frutto del lavoro proletario ed è rivolto contro il proletariato;

il problema è di riappropriarsene nella lotta ed in primo luogo di riappropriarsi della propria identità di classe, di scoprire cioè collettivamente a partire dai bisogni delle masse più sfruttate, i meccanismi di divisione e di privilegio che agiscono sul terreno sociale, di tracciare sulla base della lotta le linee di demarcazione tra oppressori e i loro complici e i proletari. (LC 12 novembre 1970, p. 3)

Un obiettivo cruciale è l'egualitarismo, potentemente espresso dall'autonomia operaia, e che deve diventare una

potente arma di unificazione dei proletari, la sostanza stessa della loro forza, attraverso cui si prefigura la società comunista. Perché il significato dell'egualitarismo sta proprio nel mettere i propri bisogni al primo posto rispetto alle esigenze della produzione, del mercato, rispetto ai modelli di vita che il capitalismo cerca di imporre per dividere i proletari. (Prendiamoci la città, 3-4 luglio 1971, p. 31)

L'obiettivo di Prendiamoci la città è “La città in mano ai proletari”: al termine di questa fase

Attraverso la lotta, la sua generalizzazione in tutti i campi, la sua radicalizzazione, il proletariato avrà riconquistato se stesso, un proprio modo di essere, di vivere, di porsi di fronte alla società e allo sfruttamento capitalistico. La società sarà spaccata in due: da una parte i proletari, i loro bisogni insoddisfatti, i loro interessi di classe ormai pienamente chiari e riconosciuti, la loro forza accumulata in anni di esperienza, di lotta, di discussione, la loro organizzazione come sicuro punto di riferimento rispetto ad ogni problema, dall'altro la borghesia, i padroni, il potere dispotico dello stato borghese, i meccanismi del loro sfruttamento ormai completamente svelati, la forza bruta come unico puntello su cui si regge il loro dominio di classe. (Prendiamoci la città, 3-4 luglio 1971 p.32- 33)

I proletari allora sentiranno lo sfruttamento e il dominio dello stato borghese non come la condizione naturale della propria vita, ma come un'imposizione arbitraria e un ostacolo alla realizzazione delle loro aspirazioni.

Secondo Lotta Continua, la città è un enorme dormitorio e i proletari sono relegati in quartieri ghetto costruiti alla periferia, in edifici che sembrano alveari senza aria, senza verde, pieni di fumo e di traffico; chi è immigrato da poco è ammucchiato come sardine nelle case più vecchie, in soffitte, scantinati, pensioni e stabili cadenti, oppure in baracche come i centri sfrattati. L'affitto della casa o la retta della pensione si portano via la metà del salario di un operaio.
La città non è niente altro che

la rete di questi strumenti di sfruttamento e di dominio che i padroni hanno inventato per mantenere il proletariato soggiogato e diviso in ogni momento della sua esistenza. Nella sua lotta per affermare la propria autonomia, cioè i propri interessi ad una vita collettiva, libera e creativa, contro gli interessi dei padroni a mantenerlo diviso, isolato, sfruttato, il proletariato non può fare a meno di trasformare la città, cioè ogni aspetto della propria condizione di vita, in un terreno di lotta. (LC anno III, n.2 gennaio 1971, p. 2-3)

Nei centri urbani si vive il problema dei prezzi, il continuo aumento del costo della vita, il problema della casa, degli affitti, che costituiscono una grossa decurtazione al salario operaio, il problema dei trasporti che non rappresentano solo un fisso sul salario, ma un forte prolungamento della giornata lavorativa, (con la beffa che “molti di noi hanno scelto di vivere fuori città per i prezzi, gli affitti, tutto costa meno che a Torino”), il problema della scuola, della qualificazione professionale e delle differenze salariali tra operai e impiegati che essa giustifica, il problema del rapporto tra giovani e anziani, tra operai e operai, tra settentrionali e immigrati e delle diverse motivazioni che li spingono o li trattengono dalla lotta, e che sono un elemento di divisione effettiva della classe operaia, il problema dei fascisti e della necessità di organizzare l'autodifesa, «il problema della violenza durante le lotte, per la necessità di smascherare, processare e colpire i capi, i crumiri tutti, la gerarchia di fabbrica come strumenti diretti dell'oppressione di classe» (Prendiamoci la città, 3-4 luglio 1971 p. 17).

Le componenti della strategia

Gli ambiti di intervento

La scuola, la casa, i prezzi; i rapporti tra i sessi, tra i giovani e i vecchi, tra i figli e i genitori; il problema dell'informazione; il modo di curarsi dalle malattie; l'amministrazione – e la concezione della giustizia, il modo di vivere, stare insieme, e di divertirsi, e di usare il proprio tempo, il senso da dare alla vita; oltre a tutti i rapporti tra i diversi strati in cui è diviso il proletariato, sono terreni in cui i padroni mantengono l'iniziativa, impongono le loro soluzioni che vengono accettate e spesso fatte proprie dai proletari. (LC 11 giugno 1971, p. 19)

Non sono soluzioni neutrali perché, secondo Lotta Continua, in ogni campo ci sono due linee: una proletaria e comunista e l'altra borghese e revisionista. La prima sprigiona la creatività delle masse, le rende protagoniste nella lotta di classe; la seconda le consegna disarmate al nemico. Si tratta certo di una semplificazione della composizione delle classi, ma la novità è l'ampiezza dei temi che entrano nella lotta. L'idea è che tutti i rapporti sociali sono importanti. Lotta Continua rifiuta la convinzione che questi problemi siano estranei alla lotta di classe, o secondari rispetto a un terreno privilegiato che sarebbe la lotta di fabbrica oggi, la lotta armata domani. Si tratta di una concezione schematica, libresca ed economicista secondo cui la lotta di classe o la politica sono cose separate dalla vita.

Falso rispetto al modo in cui concretamente si esercita il potere dei padroni – che proprio dalla società, dal modo in cui hanno organizzato la vita dei proletari, traggono la forza per imporre il loro dominio nella fabbrica e con lo stato; falso rispetto alla coscienza e al comportamento delle masse, che danno altrettanta importanza (se non di più) alla loro vita sociale che al loro lavoro. (LC 11 giugno 1971 p. 19)

Trasformare sé stessi

LC afferma che «i proletari devono trasformare sé stessi anche prima di prendere il potere». Affrontare questi problemi significa «estendere anche in questo campo la lotta di classe, ampliare la coscienza che i proletari hanno dei propri interessi, separare le soluzioni borghesi e individualistiche da quelle proletarie e comuniste, accrescere l'autonomia dei proletari di fronte ai padroni» (LC 11 giugno 1971 p. 19). Lotta Continua ritiene che la libertà e il potere che gli operai si sono conquistati in quegli anni dentro le fabbriche derivino dal fatto che

gli operai nella lotta hanno trasformato sé stessi, hanno non solo le idee molto più chiare sui loro interessi e sui meccanismi su cui poggia il potere dei padroni, ma hanno più coraggio, più iniziativa, più legami fra di loro, più esperienza, più capacità di agire e lottare collettivamente: questa è la loro forza. (Prendiamoci la città 3-4 luglio 1971, p. 15)

In ogni lotta è in gioco la capacità dei proletari di estendere la propria iniziativa, di fare le cose in prima persona, di «prendersi quello che vogliono» (Ivi, p. 16). Questo è il metro con cui Lotta Continua giudica il crescere dell'autonomia proletaria sul terreno sociale che è visibile nelle

lotte dei proletari per ridurre o non pagare gli affitti, per occupare le case; per ridurre o non pagare il costo dei trasporti, le lotte per occupare zone verdi, contro il fumo, la nocività, lo schifo di interi quartieri, le lotte studentesche per usare la scuola come centro di organizzazione e di discussione aperta a tutti i proletari, le mobilitazioni di massa per dare la caccia ai fascisti e distruggerne le sedi,

infatti,

pur nel loro carattere di episodi limitati, sono dei passi avanti verso l'emancipazione dei proletari immensamente più importanti di tutte le manifestazioni e le iniziative organizzative e gli scioperi per le riforme – che se hanno avuto importanza e sono stati usati dai proletari, questo non è certo per i loro obiettivi ma per trovarsi uniti nelle lotte e prendere coscienza della propria forza. (Prendiamoci la città 3-4 luglio 1971, p. 16)

LC ipotizza una contrapposizione fra interessi netta e duale e una identità proletaria da scoprire e anche da costruire, che rappresenta un progetto politico fondato sulle contraddizioni.

Affrontare tutti i problemi

La pratica è di affrontare con la lotta tutti i propri problemi che emergono: il problema della salute, la nocività in fabbrica, e quella fuori, la salute delle donne, dei figli, l'alimentazione, il modo di vivere, il potere dei medici sui corpi, i problemi dell'informazione.

Prendersi le cose

Il programma prevede gli scioperi dell'affitto e le occupazioni di case, che i pendolari non paghino i trasporti, l'occupazione di zone verdi per permettere ai bambini di giocare, l'utilizzo delle scuole, delle piazze e delle strade come luoghi in cui riconoscersi, unirsi, discutere e decidere imparando a vivere in un modo nuovo. Gli strumenti del lavoro politico sono le assemblee popolari, le manifestazioni di strada, i picchetti ai mercati, le occupazioni dei trasporti pubblici, gli asili in cui i bambini proletari dispongono liberamente di sé stessi, le scuole aperte a sedi di organizzazione proletaria, le sedi in cui i proletari discutono, redigono e finanziano gli strumenti della propria informazione e organizzazione, dai volantini ai giornali, ai manifesti. La consapevolezza è che «Tutto quello che esiste a questo mondo, l'hanno prodotto gli operai e i proletari con il loro lavoro e la loro fatica, e gli deve essere restituito» (LC 29 gennaio 1971, p. 6-7). A decidere sulla volontà delle masse di riappropriarsi collettivamente delle condizioni della propria esistenza, sono i rapporti di forza che in ogni momento esistono fra proletari e padroni, fra sfruttati e sfruttatori. Per questo Lotta Continua lavora «per unire e rafforzare il proletariato, e per indebolire ed abbattere la borghesia» (p. 6). Il programma prevede che

La casa è un diritto: non paghiamo più l'affitto, occupiamo le case vuote. Viaggiamo per il padrone: non paghiamo più i trasporti. I bambini hanno bisogno di giocare: occupiamo le zone verdi; queste cose non le diciamo solo noi, ma hanno cominciato a farle larghe masse di proletari, al nord come al sud, e non siamo che all'inizio. (LC 29 gennaio 1971, p. 6-7)

E ancora in riferimento a Torino:

Prendiamoci la città. Prendiamoci le case, le scuole. Le piazze, le strade, devono diventare i luoghi in cui ci riconosciamo, ci uniamo, discutiamo e decidiamo. Impariamo a vivere in un modo nuovo: impariamo ad odiare con tutta la forza i nostri nemici, quelli che vivono sfruttando, e impariamo ad essere solidali con i nostri fratelli, con i nostri compagni. (LC 24 novembre 1970, p. 8)

Contro il carovita Lotta Continua promuove manifestazioni ai mercati generali o al mattatoio per imporre i prezzi, picchettaggi ai grandi magazzini perché nessuno entri fino a quando non abbiano abbassato i prezzi, si invitano gli operai a non comprare i tesserini del tram e a salire sul tram senza pagare, perché paga Agnelli (padrone della FIAT all'epoca).

Le occupazioni di case

Nel 1970-71 sono il perno dell'iniziativa di Lotta Continua. Protagonisti sono i proletari di recente immigrazione dal sud Italia, che vivono nei centri sfrattati di Milano, nelle vecchie case del centro storico di Torino o nelle abitazioni improvvisate delle borgate romane o delle grandi città meridionali. L'occupazione di via Tibaldi a Milano nel giugno ‘71, diventa emblematica all'interno del programma Prendiamoci la città perché nell'occupazione viene prefigurata un'organizzazione diversa della vita: gli occupanti affermano che nell'uso di servizi creati nella casa occupata (asilo, mensa, ambulatorio) «impariamo ad essere comunisti; diamo la precedenza a chi ne ha più bisogno e dividiamo le cose con una decisione collettiva» (La riforma delle case ce la facciamo noi, LC 11 giugno 1971). E continuano:

Le case sono state costruite per rinchiudere ogni famiglia dentro il suo appartamento e non farle avere contatti con i suoi vicini. Ma nella lotta non ci si appropria solo delle case, così come i borghesi le hanno volute, per tenerci divisi. Le si trasforma. La casa diventa un centro di organizzazione; la vita in comune prende il sopravvento su quella individuale. (LC 11 giugno 1971, p. 22)

L'assemblea dei capifamiglia decide le forme di lotta, l'organizzazione della vita in comune dentro la casa, i bisogni più urgenti e cui bisogna dare la precedenza. «Tutto quello che si fa, è stato prima discusso da tutti». I bambini nella casa di via Tibaldi sono più di cento e per loro è stato fatto un asilo

a cui badano a turno le madri e alcune compagne. È un esempio che deve generalizzarsi. I bambini che vivono e crescono in comune, come vogliamo noi, e non come ce lo impongono i padroni, non sono più un peso; una catena che lega la donna alla casa e le impedisce di avere del tempo da dedicare a se stessa e alla lotta di classe. Tenendo i bambini in comune, stanno meglio loro e stiamo meglio noi. Anche i bambini lottano. Hanno fatto i cortei con noi, i blocchi stradali, hanno preparato i cartelli e sono i più attivi a raccogliere i soldi. Oltre all'asilo, nella casa sono state fatte una mensa e un ambulatorio. (LC 11 giugno 1971, p. 22)

Colpisce con gli occhi di oggi la divisione dei compiti in base al genere, tuttavia risalta anche la giustezza della soluzione data dall'asilo nido che consente ai bambini di vivere e crescere in comune, e alle madri di avere del tempo da dedicare a se stesse e «alla lotta di classe». Lo stabile di via Tibaldi appartiene allo IACP (Istituto Autonomo Case Popolari) e gli appartamenti occupati sono molto eleganti, con doppi servizi, e sono costruiti con le trattenute GESCAL (trattenute ai lavoratori dipendenti per costruire case economiche e popolari) e sarebbero stati dati in riscatto (in proprietà) al prezzo di 25 milioni. La lotta ha comportato una serie di violenti sgomberi, aggressioni da parte della polizia, e peregrinazioni per la città, durante le quali muore un bambino di sette mesi, ma ha ottenuto da un fronte molto esteso, compresa quella della Facoltà di Architettura di Milano, che accoglie gli occupanti dopo uno degli sgomberi, ed è risultata vincente: la casa viene assegnata non solo alle 67 famiglie che hanno partecipato alla lotta ma a tutte le 140 confinate nei centri sfrattati. Lotta Continua titola: «Nelle case occupate di via Tibaldi. La volontà dei proletari di vivere e di essere felici contro l'organizzazione capitalista dello sfruttamento e della morte» (prima pagina LC 11 giugno 1971). Il programma ha creato un meccanismo che prevede: lotta dura, mobilitazione ampia e unitaria e conquista degli obiettivi. Tuttavia LC tenterà di innescare lo stesso meccanismo altrove senza riuscire a ritrovare quelle condizioni che avevano reso viale Tibaldi un caso esemplare.

Sedi territoriali

Vengono aperte sedi di LC su base territoriale, punto di riferimento per gli operai delle piccole fabbriche e studenti, in modo che il loro lavoro al di fuori della scuola «si sviluppi a partire da una conoscenza effettiva dei problemi e delle lotte proletarie rispettandone l'impostazione e la priorità» (Prendiamoci la città, 1971, p. 20). Una sede, un posto fisso di ritrovo è indispensabile,

soprattutto per le masse, per avere un punto cui fare riferimento, per qualsiasi problema si trovino di fronte, per potersi incontrare, conoscere, passare il tempo libero, e anche imparare a divertirsi in modo diverso, non borghese, per sviluppare una rete di contatti e di collegamenti senza la quale non ci può essere organizzazione proletaria autonoma. (Prendiamoci la città, 1971, p. 20)

Le sedi devono servire non solo per discutere e fare riunioni ma per fare cose: dall'organizzazione della controinformazione, con volantini, giornali proletari, manifesti e cartelloni – alle attività culturali, libri, giornali, proiezioni, lezioni, dibattiti (ivi, p. 21). Attività come doposcuola, corsi di recupero, asili nido, ambulatori proletari, assistenza legale, civile e penale, collette, tutte queste attività sono svolte in sede, e i proletari sono coinvolti nella loro gestione. La sede deve funzionare anche per i divertimenti, «ci va bene che ragazzi e ragazze la usino per incontrarsi, per conoscersi, e organizzare le loro feste». Lotta Continua non dimentica gli anziani:

Così le persone anziane, di cui questa società non sa che farsene e spera solo che muoiano al più presto possibile possono trovare nella nostra sede un posto dove riunirsi, rendersi e sentirsi utili, e soprattutto mettere finalmente a disposizione dei giovani il loro patrimonio di esperienze che i padroni fanno di tutto perché vada disperso il più presto possibile. (Prendiamoci la città, 1971, p. 21)

Lotta Continua ritiene essenziale prevedere assemblee periodiche per discutere e decidere senza deleghe, lo scopo delle assemblee è di educare le masse a esprimersi e decidere.

Solidarietà attiva

Lotta Continua organizza in molte città attività di servizio, come asili nido, doposcuola, ambulatori, mercati rossi: lo scopo è far sì che i proletari comincino a prendere in mano la gestione dei propri bisogni. Vengono attivati: gli ambulatori gestiti dai compagni, che servono per dimostrare che ci si può curare in modo differente; l'assistenza legale; gli asili nido per permettere alle donne proletarie di cominciare ad avere un po' di tempo da dedicare a sé stesse e alla politica «perché tutti, uomini e donne capiscano che ci si può occupare dei propri figli in maniera collettiva e comunista, che in questo modo crescono meglio i figli e stanno meglio loro» (Prendiamoci la città, 1971, p. 28); luoghi di incontro per «dare agli anziani la possibilità di sentirsi utili e di valorizzare la loro esperienza, imparando la storia del loro passato» (p. 28); i doposcuola, i corsi di recupero, in cui i ragazzi e anche gli adulti si aiutino a vicenda, selezionando le cose che ritengono utili imparare. Lo scopo è dare la possibilità di incontrasi, di non essere soli, di avere degli amici con cui divertirsi senza bisogno di scappare lontano dal quartiere; vengono attivati anche centri per accogliere, organizzare e aiutare i proletari che arrivano dal sud a trovare una casa, un lavoro, degli amici.

Queste sono tutte iniziative che si possono costruire solo lentamente andando incontro a parecchie difficoltà e contraddizioni, ma che sono fondamentali per la lotta di classe, perché sostituiscono l'iniziativa cosciente e collettiva dei proletari alle soluzioni imposte dai padroni in tutta una serie di campi dove finora la lotta di classe non si è mai svolta in modo cosciente e organizzato. (Prendiamoci la città, 1971, p. 28)

Inchiesta

LC è stata l'antesignana della controinformazione attraverso il libro Strage di Stato (1970) in cui grazie al lavoro dei suoi militanti ha provato l'innocenza dell'anarchico Valpreda, ingiustamente accusato della strage di Piazza Fontana del 1969, e la responsabilità dei neo-fascisti e dei servizi segreti deviati, all'interno della strategia della tensione. Attraverso l'inchiesta LC intende denunciare le condizioni di oppressione di cui sono oggetto i proletari, nei quartieri, nelle fabbriche, nelle scuole, fino ad arrivare al caso singolo, anche attraverso la «denuncia sistematica del nemico di classe». Lo scopo è di distinguere i nemici dagli amici. L'ideologia oggi dominante prescrive di non cercare colpevoli e responsabili dei problemi sociali, e critica l'odio in quanto tale, mentre c'è un odio motivato e giusto e un odio immotivato: l'odio giusto è quello di chi lotta contro l'oppressione e quello sbagliato è quello degli oppressori contro le loro vittime. L'inchiesta permette di identificare i responsabili della questione abitativa e dei problemi sociali: le grandi società immobiliari, gli enti pubblici dell'edilizia, i grandi speculatori privati, gli strozzini delle pensioni, dei dormitori, dei collegi, e i loro rapporti con l'industria e con l'amministrazione pubblica. Significa anche indagare, conoscere e superare le contraddizioni all'interno del proletariato, fra i baraccati e gli assegnatari di case popolari, fra gli inquilini delle case private e i proprietari di uno o due appartamenti, fra gli ospiti delle pensioni proletarie e quelli dei collegi studenteschi.

Comunismo

Il contenuto di fondo delle lotta è «la coscienza collettiva che la vita che i capitalisti fanno maledire può essere bella, che il programma della lotta proletaria non è una vita “migliore”, ma una vita radicalmente diversa; la coscienza in particolare che l'organizzazione dei proletari non è un aspetto della loro vita, necessario per raggiungere alcuni obiettivi, ma che è l'unica possibilità di vincere la miseria materiale e morale della vita quotidiana, di non essere soli, di non essere infelici e disperati» (LC 12 nov 1970, p. 4). Non ci si limita a estendere il fronte della lotta di classe ma si distrugge la politica come attività separata, come specializzazione, come momento sindacale:

Le assemblee popolari, le manifestazioni di strada, i picchetti ai mercati, le occupazioni dei trasporti pubblici, gli asili in cui i bambini proletari non vengono tenuti a bada militarmente, miserabilmente e a caro prezzo, ma dispongono liberamente di sé stessi, le scuole aperte a sedi di organizzazione proletaria, le sedi in cui i proletari discutono, redigono e finanziano gli strumenti della propria informazione e organizzazione, dai volantini ai giornali, ai manifesti: questi sono gli strumenti del nostro lavoro. (LC 12 nove 1970, p. 4)

C'è il rifiuto della separazione fra fabbrica e lotte sociali, fra programma degli obiettivi materiali della lotta e programma politico generale: in realtà nelle più avanzate lotte operaie vive una sollecitazione generale alla lotta proletaria, e solo «il rapporto con una dimensione generale e sociale, di lotta e di organizzazione può garantire la continuità e la crescita dell'autonomia operaia organizzata in fabbrica» (LC 12 nove 1970, p. 4).
Per Lotta Continua la prospettiva è la capacità, a partire dalla forza che si ha in fabbrica, di costruire e continuare la lotta

che sottragga all'influenza del padrone e investa nella lotta di classe tutti gli aspetti della vita di noi proletari, non in una somma di altri obiettivi ma in una prospettiva totale di vita per costruire una società diversa: per il comunismo! Questo è il significato di prendiamoci la città… (LC 8 luglio 1871, p. 14)

Nell'occupazione di via Tibaldi l'azione rivoluzionaria e comunista non è stata tanto l'aver occupato le case «quanto l'essere riusciti a partire dall'occupazione a vivere in un modo diverso nei nostri rapporti, a vivere da comunisti. Senza di questo, anche se avessimo occupato 500 case non avremmo fatto un'azione autenticamente valida…» (LC 8 luglio 1971). Il contenuto di fondo del programma della lotta proletaria non è una vita “migliore”, ma una vita radicalmente diversa.

La musica

Lotta Continua riconosce il diritto dei giovani ad accedere senza pagare ai concerti di musica rock (Chicago, Rolling Stones Ten Years After, Santana, nel 1971), che hanno costi esorbitanti per i giovani proletari. Per questo sostiene i giovani che non vogliono pagare il biglietto ai concerti e si esprime contro gli interventi della polizia che carica lanciando lacrimogeni alla cieca, spesso addirittura dentro l'Arena dove si tengono i concerti. Riconosce che la musica rock è il più grande strumento in mano a milioni di giovani americani per comunicare fra loro:

Così succede che i Jefferson Airplane, se cantano canzoni davanti a decine di migliaia di persone contro la guerra in Vietnam e Nixon, sono anche con gli altri negli scontri contro la polizia nelle università. I Rolling Stones prima di cominciare il loro concerto a Parigi, danno la parola ai compagni di “Vive la revolution”… per questo che i padroni hanno deciso che concerti a Milano non se ne faranno più. (LC 26 giugno 1971 pag. 9)

Tutte le sfere sociali, tutti gli sfruttati

I luoghi della città coinvolti dalle lotte di Prendiamoci la città sono molteplici: le fabbriche piccole e grandi, luoghi della grande esplosione della lotta operaia 68-69 autonoma; i quartieri residenziali e popolari, non escluso il centro storico, che è stato spesso il primo luogo di accesso degli immigrati dal sud Italia, luoghi di lotta per la casa e per i servizi, dove si sperimentano occupazioni di case autogestite dai proletari e servizi autogestiti: mense, asili nido, ambulatori; le scuole medie (soprattutto superiori 14-18 anni), luogo di organizzazione degli studenti per introdurre nelle scuole le rivendicazioni sociali e un conseguente ampliamento del campo della conoscenza; le università, dove i seminari autogestiti impongono nuovi terreni di ricerca legati alla trasformazione sociale e territoriale, e che diventano esse stesse luoghi aperti alla città per le riunioni politiche, gli spettacoli, la musica, la protesta, l'iniziativa, lo studio; le caserme dove i “proletari in divisa” (c'era il servizio militare obbligatorio) denunciano le condizioni di vita dei militari di leva e il ruolo della gerarchia, sforzandosi di creare su questi temi organizzazione, lotta e controinformazione, e di produrre l'analisi della funzione repressiva dell'esercito; le carceri dove gli attivisti arrestati per le pratiche di protesta (manifestazioni o occupazioni) toccano con mano le condizioni in cui versano molti proletari e lottano per la liberazione dei compagni arrestati e per migliorare le condizioni di tutti i detenuti; le sedi di Lotta Continua, luogo di assemblea, di organizzazione politica e sociale, di incontro e di realizzazione e offerta di servizi autogestiti; le strade e le piazze che sono i luoghi delle manifestazioni e i mercati rossi predisposti nei quartieri popolari dove si sperimenta un mercato fuori dalle logiche di classe, con prezzi politici. Le sedi di Lotta Continua si diffondono nelle città e nel 1971 LC è presente in 150 centri. In una città come Torino ha una sede centrale e altre nei quartieri periferici. I settori sociali a cui si guarda sono gli operai delle fabbriche e le loro famiglie, gli abitanti dei quartieri operai e proletari, gli studenti medi e universitari, i soldati di leva, i carcerati. I luoghi urbani coinvolti nelle lotte si trasformano da luoghi di lotta a luoghi delle nuove relazioni sociali, da luoghi di dominio a luoghi della trasformazione, tutti i settori sono compresi.
L'innovazione di Prendiamoci la città risiede nella consapevolezza che la rivoluzione, intesa come abolizione delle classi e del lavoro salariato, e realizzazione del comunismo, ha diverse fasi e una è la crescita dell'autonomia proletaria rispetto ai bisogni indotti e alla presunta naturalità e non trasformabilità dei rapporti di sfruttamento: vanno liberati ed espressi i bisogni sociali proletari contrapposti a quelli borghesi del capitale. LC pensava che si trattasse di bisogni propri del proletariato, oggi appare chiaro che i soggetti che premono per una trasformazione sociale non sono tali oggettivamente ma soggettivamente. La consapevolezza e la chiarezza nella contrapposizione fra interessi oggi appaiono sia negli studi urbani critici, sia vengono svelati, come riteneva LC, nelle lotte, fondate sulle contraddizioni e i bisogni radicali, come nella lotta sociale estesa alla città si sperimenta cosa sia l'egualitarismo e il comunismo. La capacità delle lotte di mettere in atto la trasformazione sociale qui e ora, anche se temporaneamente, è sempre vera.

I bisogni che emergono nelle lotte, in base alle contraddizioni sociali, mettono in discussione le risposte presenti nella società, per proporre delle soluzioni che LC definiva proletarie e comuniste e oggi possiamo definire mondi urbani possibili (David Harvey, 1996). Questa fase, racchiusa nel programma Prendiamoci la città presuppone la lotta in tutte le sfere sociali non per co-gestirle per come sono oggi, ma per metterle in crisi evidenziando i bisogni irrisolti da soddisfare in una società comunista. Tutte le sfere sociali, identificate da David Harvey (2012, Rebel Cities), sono coinvolte dalla lotta di Prendiamoci la città: le tecnologie e le forme organizzative sono l'oggetto delle lotte operaie e di quelle degli intellettuali organici e oggetto delle inchieste; le relazioni sociali sono messe in discussione nei luoghi di lavoro, nelle famiglie, nelle scuole, nelle università, nelle caserme, nelle carceri; l'organizzazione istituzionale e amministrativa è oggetto di inchiesta e controinformazione per la connivenza con i poteri economici del capitale; i sistemi di produzione e i processi lavorativi sono anch'essi oggetto delle lotte in fabbrica, nei luoghi di lavoro e nelle università; la relazione con la natura prende la forma del rifiuto dell'inquinamento concentrato nei quartieri operai e nelle fabbriche, della nocività in fabbrica, della domanda di salute e prevenzione, del bisogni di un ambiente urbano pulito e di spazi naturali urbani; la riproduzione della vita quotidiana e della specie è un terreno di organizzazione attraverso i servizi autogestiti – cruciali quelli della cura – e la diffusione sul territorio di basi rosse, alternative; le concezioni intellettuali sul mondo sono affrontate dalle lotte nelle scuole e nelle università ma anche in modo socialmente diffuso, attraverso le inchieste e la progressiva chiarezza con cui emergono dalla pratica delle lotte agli interessi di classe e quindi l'autonomia proletaria nel leggere la realtà. Tutti i rapporti di sfruttamento sono inclusi, oltre a quelli nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro: proletari, giovani, anziani, donne, soldati, carcerati, tutti sono soggetti attivi nella lotta. Lotta Continua afferma che da subito, attraverso la lotta, i soggetti sociali devono trasformare sé stessi. Non un prima o un dopo, non una lista di priorità di obiettivi, ma tutti insieme nelle loro specificità. Nella lotta emergono i bisogni che fanno scoprire il tipo di società che davvero si desidera e che tipo di persone vogliamo essere. Sono i bisogni radicali di Agnes Heller: una vita piena di significato; un lavoro pieno di senso; lo studio; il bisogno di tempo libero come liberazione radicale.

L'ipotesi di Lotta Continua durante il programma Prendiamoci la città, è che un modo di vita comunista-proletario non esista già – perché il modo di vivere è uniformato dalla società dominante, del consumo e del capitale – ma che esista in potenza e che cresca dove i proletari riescono e imparano a distinguere i loro bisogni da quelli del capitale a partire dal luogo di lavoro, dove i loro bisogni sono contrapposti chiaramente a quelli del capitale finalizzato al profitto per mezzo dello sfruttamento, per passare poi alla città. La scoperta di questi bisogni e queste nuove relazioni sociali avviene nella lotta in cui si sperimentano la comunanza e l'uguaglianza, che non sono teorie astratte ma pratiche reali. Nella lotta si sperimenta il comunismo, e sarà quello che avverrà successivamente anche nel movimento del 77 con i circoli del proletariato giovanile, spazi di lotta e di trasformazione nelle città italiane, piccole e grandi, che diffonderanno e daranno concretezza al rifiuto del lavoro dei giovani (no al lavoro di fabbrica dei padri e delle madri), al bisogno di tempo libero come liberazione radicale e al bisogno delle donne della nuova sinistra di essere altro rispetto al modello omologato di donna imposto socialmente nella famiglia, nella cultura, nel lavoro, nella società.

Prendiamoci la città, elaborata cinquant'anni fa, pone delle domande all'oggi: quali siano i soggetti portatori di una domanda di trasformazione radicale capace di superare l'alienazione umana e di costruire un nuovo rapporto sinergico con la natura non umana, e come iniziare la costruzione di mondi urbani possibili, a partire dallo stato presente, agendo contemporaneamente su tutti gli aspetti e le sfere della società. Infine se esista anche oggi, una domanda di comunismo, inteso come liberazione radicale.

Bibliografia e sitografia

Archivio del giornale Lotta Continua: https://fondazionerrideluca.com/web/archivio-lotta-continua/#elf_l1_Lw

Archivio del giornale Lotta Continua: https://www.bibliotecaginobianco.it/?e=flip&id=39

Bobbio, L. (1988), Storia di Lotta Continua, Feltrinelli, Milano.

De Luna G. (2009), Le ragioni di un decennio, Feltrinelli, Milano.

Lotta Continua, (1971), Prendiamoci la città, linea e programma della lotta di massa, Convegno regionale lombardo, documento preparatorio, Milano, 3- 4 luglio.

Harvey, D., (2012), Rebel Cities, Verso, London-New York.

Maggio, M. (2021), Prendiamoci la città, Dérive, n. 85 (Okt-Dez/2021) https://derive.at/texte/prendiamoci-la-citta/

Maggio, M. (2021) Ri-prendiamoci la città, Comune – info, 20 dicembre 2021 https://comune-info.net/ri-prendiamoci-la-citta/

Maggio M. (2017) 1977, una storia appena iniziata Comune – info, 28 aprile 2017 https://comune-info.net/movimento-del-1977-storia-appena-iniziata/

Maggio M. (2021), Comunicazione, partecipazione e libertà, Perunaltracittà https://www.perunaltracitta.org/wp-content/uploads/2021/09/Conoscenza-partecipazione-e-liberta.pdf

Maggio M. (2014), Invarianti strutturali nel governo del territorio, FUP, https://fupress.com/catalogo/invarianti-strutturali-nel-governo-del-territorio/2803

Marvi Maggio – Architetta e Dottoressa di Ricerca in Territoriale e Urbana, ha ottenuto l'Abilitazione Scientifica Nazionale come professore universitario di Pianificazione e progettazione urbanistica e territoriale. È ricercatrice dell'International Network for Urban Research and Action, di cui è una dei fondatori. Conduce ricerche sul rapporto fra governo del territorio, mercato immobiliare e movimenti urbani.