Serena Dambrosio, Chiara Davino, Leonardo Mastromauro, Lorenza Villani | Città fragile | Vol II | Futuri urbani
Introduzione
I significati che di volta in volta vengono attribuiti istituzionalmente e culturalmente a una parola determinano le modalità attraverso cui le azioni a essa legate verranno disciplinate, rappresentate e, di conseguenza, spazializzate. Durante l’emergenza SARS-CoV-2 la parola “assembramenti”, con le sue differenti traduzioni, è improvvisamente divenuta protagonista del dibattito istituzionale e mediatico italiano e internazionale.
L’obiettivo di questo testo è investigare la trasformazione del significato del termine – da sempre soggetto a diverse interpretazioni retoriche – nel contesto specifico della gestione della Pandemia di SARS-CoV-2. Nel 2020 il termine “assembramenti” ricompare nel linguaggio istituzionale italiano attraverso il DPCM dell’8 marzo – in riferimento a provvedimenti che regolano dimensioni e caratteristiche dei locali aperti al pubblico per evitare sovraffollamenti – diventando fin da subito traduzione socio-spaziale del contagio.
L’assembramento, nel corso della pandemia, è stato di volta in volta disciplinato attraverso provvedimenti che, identificando qualsiasi forma di collettività spontanea come materializzazione di un “nemico invisibile”[1], hanno normalizzato la retorica bellica e l’organizzazione di stampo militare utilizzate in merito alle misure di contenimento del contagio.
Le riflessioni qui presentate partono dal presupposto che l’uso della parola accompagni, in questo complesso periodo storico, un cambiamento di linguaggio istituzionale e mediatico che sposta il paradigma dell’infezione da una dimensione individuale a una collettiva, identificando qualsiasi tipo di riunione non ordinata come un possibile mezzo di infezione.
Diverse linee interpretative propongono di analizzare il termine “assembramenti” in relazione alle forme di Disciplinamento, di visualizzazione, di spazializzazione e di assetto sociale che l’uso di questa parola informa.
Nel primo paragrafo il rapporto tra significato e disciplinamento viene definito “normatizzazione”. A partire da una lettura giuridica del termine “assembramenti” in diversi ambiti e in diversi momenti storici, le implicazioni istituzionali della parola vengono legate a specifiche ripercussioni sociali e collettive.
Il secondo paragrafo si focalizza sulla proliferazione di sistemi di controllo e di rappresentazione finalizzati alla detezione e mappatura degli assembramenti come potenziali mezzi di contagio. Attraverso casi specifici emerge come tali sistemi fossero sviluppati – prima della pandemia – quasi esclusivamente in contesti bellici e in regimi totalitari.
Nel terzo paragrafo si affrontano le disparità sociali sorte nell’ultimo anno in funzione di specifiche spazializzazioni attribuite alla parola assembramento. Conseguenze di ciò, e al tempo stesso forme di garanzia di controllo sociale, sono l’atomizzazione e la militarizzazione urbana – fenomeni tuttavia già presenti prima dell’emergenza sanitaria.
Infine, nel quarto e ultimo paragrafo – come conseguenza di quanto detto – si mette in discussione la validità del concetto di società per definire gli scenari socio-politici odierni.
Il nostro intento è aprire uno spazio comune di dibattito sui molteplici effetti che l’uso del termine “assembramenti” può produrre nel contesto di attuale cambiamento. Crediamo che questa riflessione sia il presupposto imprescindibile per una maggior consapevolezza non solo dei processi sociopolitici in atto, ma anche delle nostre possibilità di reazione a partire dalla rilettura di questi stessi fenomeni.
Normatizzazione
L’assembramento in ambito giuridico italiano – e soprattutto all’interno delle ultime disposizioni di contenimento della pandemia – è affiancato al termine “riunione”. Nel linguaggio istituzionale vi è tra le due forme di assemblea pubblica una sostanziale differenza di significato.
Cosa si intenda per riunione e come questa sia normata viene stabilito dall’articolo 17 della Costituzione Italiana che sancisce il diritto dei cittadini di riunirsi regolandone le modalità di organizzazione e svolgimento. La legge impone, infatti, che le riunioni in luogo pubblico debbano essere segnalate con anticipo alle autorità, le quali hanno il potere di vietarle o scioglierle soltanto per comprovati motivi di Sicurezza o incolumità pubblica.
Il significato attribuito all’assembramento è invece diverso. L’assembramento infatti, nel contesto dei movimenti risorgimentali, richiamava a un’azione politica di riunione, di manifestazione e di protesta non autorizzata[2], il cui fine era «per lo più di assalire o resistere»[3]. Nel corso del tempo è cambiata l’iniziale vocazione del termine, identificando più generalmente con esso una «riunione, affollamento disordinato di persone, specialmente in luogo aperto»[4].
In termini giuridici, la voce “assembramenti” – sia in testi ottocenteschi sia in quelli attuali – è dunque legata a una dimensione disorganizzata e imprevedibile. All’interno del Manuale di diritto di polizia si parla dell’assembramento come «un casuale e non concordato raggrupparsi di persone, che non nasce dalla consapevolezza e volontà di realizzare un’interazione sociale»[5] e che dunque si differenzia da altre forme di riunione socialmente e istituzionalmente pre-determinate. Sempre più spesso il termine assembramento appare legato a leggi in materia di pubblica sicurezza e alle norme che regolano il potere di discioglierlo da parte della polizia che, in base ai significati giuridici attribuiti alla parola, non può né pre-stabilirlo né pre-regolarlo[6].
Con l’emergenza SARS-CoV-2 i decreti «di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica COVID-19» ri-normatizzano l’assembramento che – vietato sull’intero territorio nazionale sia in luoghi pubblici sia in quelli aperti al pubblico[7] – spazializza istituzionalmente il contagio, criminalizzando ogni forma di socialità spontanea fuori da logiche produttive e di consumo.
Il Decreto legge del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 marzo 2020 annuncia il primo lockdown su scala nazionale e, insieme a questo, l’obbligo di ciascun cittadino di certificare tramite un modulo di autodichiarazione le ragioni, l’inizio e la destinazione dello spostamento che, se non ritenuto di estrema necessità e urgenza o legato a ragioni lavorative, diventa illecito, e di conseguenza punibile penalmente. Da questo provvedimento emerge chiaramente come, da un lato, le modalità di movimento all’interno di precisi perimetri siano legate eminentemente a logiche produttive e, dall’altro, come siano negate per legge forme di socialità non capitalizzabili, dunque ritenute non indispensabili per la conservazione della vita collettiva e urbana. Parallelamente all’evolversi della pandemia sono state introdotte, di decreto in decreto, misure più restrittive che normatizzavano l’assembramento rendendo tutte le relazioni sociali spontanee indistintamente impossibili. In questo senso, l’assembramento è divenuto nell’immaginario pubblico l’espressione di incuria e disinteresse verso la Nazione, e gli assembrati “nemici” contro cui ciascun membro della società si sente libero e legittimato ad agire. Il processo di normatizzazione dell’assembramento è strutturato su un piano giuridico ma anche, e soprattutto, su un piano emozionale: articolato in una fitta rete di formule narrative, consolida l’idea che esso sia la materializzazione del nuovo e sovversivo anti-patriottismo.
Il continuo invito a mantenere le distanze sociali, a non uscire dalle proprie abitazioni se non per ragioni di estrema necessità – per lo più legate allo svolgimento di attività produttive – ha consolidato nella coscienza comune l’idea che le relazioni spontanee, di qualunque natura esse siano, non solo non siano indispensabili ma siano anche e soprattutto pericolose.
La ri-normatizzazione del termine “assembramento” durante l’emergenza COVID-19 ha segnato indelebilmente la coscienza collettiva in termini più generali costruendo un immaginario per il quale ciò che non è capitalizzabile e – in qualche modo – produttivo, è superfluo per la vita sociale.
Parlare di assembramento, in un periodo nel quale un agente biologico invisibile impone una riorganizzazione e una regolamentazione delle relazioni socio-spaziali degli esseri umani, risulta piuttosto complesso. Tuttavia, la ri-normatizzazzione di questo termine ha determinato dei cambiamenti nelle relazioni socio-spaziali che, una volta terminata la pandemia, permarranno e non potranno passare inosservati. Per avviare un processo di “guarigione” dal distanziamento sociale è fondamentale che la demonizzazione retorica dell’assembramento, in quanto costrutto culturale, sia resa visibile, posta al centro di un dibattito critico, discussa e decostruita.
Figura 1. Il sindaco di Bari, Antonio Decaro, rincorre gruppi di persone assembrate in un parco (marzo 2020). Immagine estratta da un video pubblicato da “La Repubblica” su YouTube il 13 Marzo 2020. Notizia elaborata da Gianvito Rutigliano. Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=KdtwzvY_IV8 (20.09.2021).
Figura 2. Il sindaco di Milano, Beppe Sala, mostra i nuovi dispositivi di monitoraggio acquisiti dalla polizia locale per identificare assembramenti. Immagine estratta da un video pubblicato da “La Repubblica” su YouTube il 13 Aprile 2020. Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=sh1oPN5AsaE (20.09.2021).
Visualizzazione
Il brusco cambiamento di linguaggio nella retorica istituzionale, in cui si inserisce la ri-apparizione della parola assembramenti, ha implicato l’attivazione di una serie di sistemi di visualizzazione che si basano più sull’osservazione e monitoraggio del comportamento umano collettivo che non sulla visualizzazione delle entità virali di per sé[8]. Ricorderemo tutti le goffe performance mediatiche di alcuni sindaci italiani che allo scoppiare della pandemia andarono personalmente a “caccia di assembramenti”[9]. Ma, al di là di questi eventi aneddotici, la grande rivoluzione che questa parola ha introdotto è stata la proliferazione di nuove mappe visive delle nostre relazioni sociali e delle spazialità che esse producono.
La retorica bellica è stata accompagnata da strumenti di rappresentazione e controllo provenienti da regimi geo-politici notoriamente militarizzati[10]. Improvvisamente, una serie di tecnologie inizialmente sviluppate e impiegate in zone di guerra per tracciare lo spostamento delle persone appaiono sul mercato mondiale come strumenti per visualizzare spazialità collettive e prevedere il loro comportamento, con il “buon proposito” di limitare così le possibilità di contagio. Il fine, in questo caso, giustifica i mezzi, che vengono accolti a braccia aperte ma a occhi chiusi, in un momento complesso e critico per le democrazie di tutto il mondo.
Ma come funzionano questi sistemi di monitoraggio e cosa permettono di visualizzare?
Una tra le più note applicazioni sviluppate a livello internazionale per visualizzare e monitorare la presenza di affollamenti è Crowdless, letteralmente “senza assembramenti”, sviluppata dalla start up britannica Lanterne con il supporto dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), dell’Università di Oxford, della London School of Economics and Political Science, di Santander Universities e dell’Unione Europea[11]. Prima dello scoppio della pandemia di COVID-19, la start-up lavorava su tecnologie che aiutassero le organizzazioni internazionali e i lavoratori a muoversi in sicurezza nelle zone di conflitti bellici, mappando punti di affollamento come possibili aree di pericolo. Con l’arrivo della pandemia, la limitazione dei viaggi internazionali rende impossibili le fasi di sperimentazione sul campo per ultimare il progetto iniziale. Tuttavia i fondatori della start-up riconoscono che le popolazioni di un luogo colpito da un virus contagioso avrebbero dovuto affrontare difficoltà simili a quelle dei paesi colpiti da pericolosi conflitti. Usando la “difficoltà come opportunità”, decidono di applicare i loro studi al contesto della pandemia di COVID-19 nel Regno Unito, realizzando una nuova applicazione mirata a prevenire gli assembramenti nei supermercati e nei principali esercizi commerciali delle città. L’app produce una mappa in tempo reale che informa gli utenti sullo stato di affollamento presente e futuro di determinate zone della città. Questa mappa è generata attraverso la combinazione di due tipi di dati: da un lato segnali mobili anonimi provvisti dai fornitori di rete o dalle piattaforme di navigazione come Google; dall’altro dati forniti dagli stessi utenti dell’app che decidono di condividere informazioni relative alla loro localizzazione. Alex Barnes, co-fondatore di Lanterne, afferma in un’intervista che la fusione di questi due set di dati è una caratteristica vincente dell’app perché permette di combinare informazioni presenti con previsioni future. Oltretutto non nasconde speculazioni su possibili scenari d’espansione di questa tecnologia: «Set di dati più grandi possono aiutare a addestrare gli algoritmi di machine learning, che saranno utili per prevedere quale livello di affollamento ci sarà in futuro»[12]. La possibilità di conoscere il probabile livello di affollamento di un posto a distanza di giorni consentirà, di conseguenza, una migliore pianificazione dei propri spostamenti.
Altre tecnologie molto diffuse in tempi di pandemia per rilevare la presenza di assembramenti utilizzano sistemi di object detection associati ad algoritmi di video tracking. I primi – letteralmente sistemi di rilevamento di oggetti – sono tecnologie informatiche che operano nel campo dell’intelligenza artificiale e dell’elaborazione delle immagini. Permettono il rilevamento di certe categorie semantiche di “oggetti”, tra cui ad esempio esseri umani, animali, edifici, attraverso l’analisi di immagini e video digitali. I secondi sono tecniche che riconoscono la presenza di uno o più oggetti specifici che si muovono nel tempo, attraverso algoritmi che analizzano la posizione di tali oggetti nei diversi fotogrammi che compongono il video. Alcuni di questi sistemi di monitoraggio sono stati originariamente sviluppati da agenzie israeliane che si occupano di sistemi di sorveglianza, successivamente utilizzati per perseguire individui considerati possibili minacce.
L’utilizzo di queste tecnologie su immagini estratte da telecamere di sorveglianza ha permesso il proliferare di un gran numero di applicazioni e sistemi di monitoraggio, più o meno complessi, pubblicizzati durante la pandemia di COVID come possibili soluzioni applicabili a sistemi di sorveglianza esistenti. In Italia, imprese di sorveglianza come Binoocle, MD Vision, ST WI-NET, per citarne alcune, hanno messo a punto sistemi di monitoraggio degli assembramenti basati su queste tecnologie e indirizzati all’impiego da parte di imprese private e forze dell’ordine municipali.
Un ulteriore argomento che ha permesso a queste tecnologie di proliferare facendole apparire a primo impatto innocue si fonda sulla presunta difesa della privacy su cui sono basate. Questi sistemi non registrano né immagazzinano né elaborano dati personali, ma funzionano come sensori. Il messaggio finale prodotto è un segnale che ci avvisa quando si raggiunge una certa soglia di accettabilità di relazioni fra “oggetti” e “corpi”. Effettivamente non è il diritto alla privacy quello che sembra violato ma più precisamente il diritto a una socialità e collettività spontanea basata sulla condivisione di tempo e spazio fuori da logiche e processi finalizzati alla produzione o al consumo.
In un primo momento Hannah Arendt[13] e successivamente Michel Foucault[14] hanno parlato di “effetti boomerang coloniali” per descrivere come sistemi di controllo ed esercizio del potere totalitario sperimentati nei territori delle colonie vengano successivamente riportati e adottati, sotto nuove sembianze, nei luoghi d’origine. Questo, secondo Eyal Weizman, aiuta a spiegare perché ciò che si stava sperimentando in “zone eccezionali” come le frontiere della guerra al terrorismo sta ora emergendo nel contesto dell’eccezione portato dalla pandemia[15].
Una domanda sorge spontanea: cosa rimarrà di questa intelligenza accumulata e delle sue applicazioni quando l’emergenza COVID-19 sarà finita?
Uno dei compiti del pensiero critico dovrà necessariamente essere quello di mettere in discussione la validità a breve e lungo termine degli strumenti retorici, visivi e spaziali che stiamo normalizzando in tempo di emergenza interrogandoci sulle conseguenze a breve e lungo termine di questa morbosa forma di monitorare, regolare e prevedere in maniera sempre più dettagliata i nostri comportamenti sociali.
Figura 3. Visualizzazione della tecnologia Vision2, utilizzata dalla start-up Binoocle, per “monitorare comportamenti a rischio contagio in ambienti sociali e commerciali”.
Immagine estratta da un video pubblicato da “La Repubblica” su YouTube il 30 Aprile 2020 in cui si intervista il fondatore della start-up Mario Puccioni. Notizia elaborata da Andrea Lattanzi. Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=2IccKL_oFxU&t=114s (20.09.2021).
Figura 4. Visualizzazione della tecnologia di sorveglianza con IA promozionata dall’impresa MD Systems Vision2 per “sveltire il lavoro delle forze di sicurezza”. Immagine estratta da un video pubblicato dal profilo “MD Systems SRL” su YouTube il 21 mar 2020, in cui si promozionano i nuovi servizi anti-assembramento dell’impresa in tempo di pandemia.
Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=alwucTlFsoc (20.09.2021).
Spazializzazione
Sono sospesi gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in altri spazi anche all’aperto.
Sono vietate le fiere di qualunque genere e gli altri analoghi eventi.
Sono sospesi i convegni, i congressi e gli altri eventi, a eccezione di quelli che si svolgono con modalità a distanza.
L’accesso ai luoghi di culto avviene con misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro.
(DPCM del 24 ottobre 2020)[16]
Il nuovo coronavirus – non-umano invisibile che si annida indistintamente in tutti i corpi umani – funziona paradossalmente come strumento attraverso cui le istituzioni qualificano come sicuri alcuni spazi, declassando altri a geometrie apparentemente incontrollabili.
Tuttavia la disponibilità di spazi sicuri in termini di dimensioni e caratteristiche sembra essere estremamente limitata in tempo di pandemia di SARS-CoV-2. Parallelamente sembrano esistere consuetudini temporali, arbitrariamente associate a determinati spazi, capaci di continuare a generare possibilità sociali di apparizione e di incontro. Il DPCM del 24 ottobre 2020 suggerisce l’uso del termine “frequentatori” per coloro che si recano abitualmente in un certo luogo, unicamente relazionato alla pratica del culto[17]. A differenza di molti altri spazi, i luoghi di culto risulterebbero capaci di garantire il distanziamento sociale, in funzione di esclusive (e inintelligibili) caratteristiche valutabili e quindi controllabili.
La cultura assembra, dunque è sospesa.
La religione no, pertanto è contingentata.
Gli spazi e le relazioni si adattano a regole cieche che non ne considerano le specifiche possibilità.
Lo spazio sociale odierno – sequenza di enclave securitarie e nuove barriere istituite a diverse scale per fronteggiare il continuo stato di Crisi visualizzato di volta in volta in emergenze diverse – appare oggi ulteriormente frammentato in una successione gerarchica di realtà spaziali collettive. Queste sono rese possibili o vietate in funzione del grado di potenziale trasmissione del virus, associato al possibile verificarsi di assembramenti – questi ultimi intesi come aggregazioni caotiche e impreviste di corpi nei quali il virus trova, come ribadito dall’immaginario recentemente costruito, la propria localizzazione e forma di diffusione.
La disparità tra luoghi nei quali si celebrano riti religiosi e riti culturali-teatrali rappresenta un esempio delle nuove riconfigurazioni dello spazio sociale in tempo di pandemia. Sebbene siano evidenti le analogie di organizzazione spaziale tra chiese e sale teatrali, da concerto, da congresso e cinematografiche le misure per limitare il contagio del virus tendono a rimarcarne le differenze: che si tratti di un rito religioso o di una messa in scena teatrale, è in realtà evidente che in entrambi i casi ci si trovi di fronte a modalità rituali; entrambi affermano un’unità di gruppo attorno a valori condivisi e, nella loro divisione, consolidatasi nel tempo, celebrano attraverso modalità diverse valori significativi per le diverse comunità[18].
Mentre il DPCM di ottobre consente dunque la condivisione di valori comunitari religiosi in presenza, quella dei valori propri dell’arte, della cultura e le forme di relazione sociale rese da queste possibili sono ad oggi sospese in quanto ritenute “attività non essenziali”; traslate, quando possibile, nelle asettiche geometrie virtuali immuni ai rischi dell’assembramento.
Il divieto imposto a ogni rapporto sociale “non indispensabile” attribuisce al contagio un senso di colpa – di peccato – poiché ammalarsi viola il sacrificio richiesto. La malattia è dunque aggettivale e si trasforma indistintamente, al di là dei comportamenti adottati, in caratteristica personologica di irresponsabilità. Allo stesso tempo, la richiesta da parte dalle istituzioni di “sacrifici” – curiosamente anch’essi connessi a una retorica appartenente a celebrazioni rituali – in funzione di un bene futuro, maggiore e collettivo, ricade dunque principalmente su determinate comunità (quelle artistiche e culturali), private aprioristicamente delle proprie modalità di organizzazione socio-spaziale.
Questo esempio dimostra che il superamento dell’uso della malattia come metafora nel discorso politico, finalizzato secondo Susan Sontag a legittimare provvedimenti severi mirati a debellare le forme eterogenee che permettono al male sociale di proliferare nei corpi, appare sempre più irraggiungibile in epoca COVID-19[19]. La malattia non è più intesa come metafora del disordine sociale ma diventa traduzione spaziale del disordine sociale stesso, visualizzato nella totalità del corpo sociale e nei suoi raggruppamenti casuali e imprevisti, in ogni forma di materializzazione della parola assembramento.
L’atomizzazione sociale, intesa come pratica medica di isolamento dei corpi, ancor prima che politica, diviene dunque il miglior antidoto preventivo al proliferare dei contagi. Attraverso contrapposizioni narrative, ideologiche, visuali e retoriche emergenziali sempre nuove, i corpi divengono oggetti di controllo politico, limitati fortemente nelle possibilità spaziali e quindi relazionali.
La discriminazione di corpi umani in funzione di un agente biologico invisibile prende forma in una vera e propria urbanistica militare nella quale il confine tra sfera civile e militare appare sempre più labile e sovente questioni del primo ambito vengono tradotte in questioni del secondo[20]: si pensi alla continua istituzione di zone di sicurezza (le zone rosse), alla proliferazione di idee militari[21] (anche di tracciamento e tradotte in app di monitoraggio) e di guerre a bassa intensità nelle quali ciascuno è parte attiva del paesaggio bellico[22].
Tuttavia l’urbanistica militare, nel momento stesso in cui separa i corpi umani tramite l’atomizzazione sociale e le misure anti-assembramento, li riconfigura immediatamente in un nuovo corpo socio-spaziale rigorosamente omogeneo, ordinato, regolato[23]; e finalizzato a rimarcare una netta distinzione e separazione tra entità umane e non umane.
Disattivare questa urbanistica e questi meccanismi è possibile traducendo la “contrapposizione” in nuove “parentele umane” e “tra specie” (non-umane) per poter così co-abitare all’interno di un ecosistema sempre più precario e predisposto al contagio reciproco[24]. Fermarsi all’attuale classificazione istituzionale tra spazialità conoscibili e inconoscibili, controllabili e incontrollabili, e alle conseguenti possibilità di apparizione comunitaria che queste aprono o negano, significherebbe accettare di vivere, acriticamente, nella sfera dell’eterno presente che questa pandemia sta consolidando, perpetuando un’esperienza quotidiana che non riesce più a comprendere una dimensione temporale futura e delle possibilità. Solo ripensando la contrapposizione spaziale e culturale tra l’urbano e l’ambiente in funzione di una nuova territorialità inclusiva tra specie diverse, la contrapposizione si tramuta in co-abitazione; si tratta di riappropriarsi di temporalità più ampie per ripensare le nostre possibilità di specie insieme ad altre specie. Si tratta di ribellarsi a ogni regola cieca che si impone sullo spazio senza partire da questo.
«La malattia è un linguaggio, il corpo è una rappresentazione, la medicina è una pratica politica»[25].
Figura 5. Collage composto dagli autori a partire dai diagrammi di tre differenti organizzazione spaziale di funzioni religiose (a sinistra la comunione, a destra il rito conclusivo), tratti da A. Alessio, T. Grisi, F. Leto, S. Tarantelli, Modelli di “Chiesa all’aperto”. Quattro figure dell’incontro nel distanziamento, Queriniana, Brescia 2020. La disposizione spaziale prende spunto dalle chiese poste nei lazzaretti: edifici senza muri e con un altare centrale quale fulcro visibile da tutti i sofferenti costretti nel recinto circostante.
Figura 6. Collage composto dagli autori. Dalla progettazione, al marketing alla realtà.
Società?
La politica pandemica rappresenta la radicalizzazione del progetto biopolitico. Da un lato, infatti, il security state – attraverso cui vengono sospese le libertà individuali in nome della sicurezza e del bene comuni – ridimensiona le relazioni dell’ordine territoriale, processo evidente nella gestione dei confini statali e dei flussi migratori il cui effetto immediato è l’immunitas: la negazione della vita in nome della sua protezione[26]. D’altra parte, invece, e in modo complementare, inizia a delinearsi la figura di un cittadino la cui accettazione della serie di restrizioni imposte dai governi sembra presentarsi come prova di altruismo[27].
Ciò che la politica pandemica evidenzia è il senso “archeologico” più proprio di questi due paradigmi: il territorio come risultato della relazione – anche etimologica – tra territorium (“territorio”) e terrēre (“spaventare, impaurire”), quindi un luogo in cui si esercita il terrore[28]; il cittadino come colui che non costruisce la città, ma è costantemente ridefinito e riformulato da essa[29]. La vita si riduce ad elemento puramente biologico e totalmente vincolata ai dispositivi tecno-medici[30].
In questo contesto, quello dell’“assembramento” o “distanziamento sociale” funziona come un dispositivo (biopolitico) attraverso cui articolare i due processi in modo indissolubile e costruire i nuovi modelli di quella che può definirsi come una militarizzazione relazionale che, ora più che mai, risulta essere anche interna al corpo sociale. Se, infatti, la vigilanza era affidata alle forze dell’ordine, ora ad esse si affianca l’attività del cittadino: l’uno tiene a distanza l’altro e lo sorveglia realizzando un sistema di mutuo controllo totalmente autopoietico (si pensi all’app “Immuni”).
Se questo è vero, allora il dispositivo dell’assembramento radicalizza il presupposto fondamentale della biopolitica, ovvero: la totale misurabilità della vita come principio del nuovo governo dei viventi. Se nelle ultime decadi le strategie economico-politiche sfruttavano caratteristiche puntuali dell’essere umano – il capitalismo cognitivo come capitalizzazione del pensiero, il capitalismo relazionale come espropriazione della sociabilità, i sistemi biometrici come cattura dei corpi e i dispositivi tecnologici come controllo delle relazioni – ora la vita, come radicalizzazione di tali processi, attraverso la politica pandemica inizia a definirsi come il risultato della sua stessa misurabilità. Se, da un lato, il security state – ridefinendo i confini statali – consente di misurare meglio i processi territoriali che i flussi migratori avevano in parte messo in crisi, d’altra parte la riduzione della vita a fattore puramente biologico ne consente il totale controllo. Confinando e isolando i corpi nello spazio e, in modo complementare, facendo dello spazio stesso un luogo isolato, la vita diventa totalmente misurabile, quindi gestibile e calcolabile. Si potrebbe azzardare e dire che dopo l’homo sapiens e l’homo economicus la pandemia annunci la figura dell’homo mensurabilis: una vita che in nome della sua salvaguardia diviene espressione e risultato di una serie di dati quantitativi che la definiscono e la dirigono.
Se il presupposto delle democrazie occidentali – ma non solo – iniziare a fondarsi sul distanziamento, la misurabilità della vita e il controllo del flusso di persone nei luoghi pubblici e privati, e se alla base del governo delle stesse non vi è più una communitas, uno stare-insieme, ma un’immunitas, ovvero una chiusura che esclude l’altro in nome della protezione della vita; siamo davvero certi che il concetto di “società” sia ancora appropriato per definire l’organizzazione di quello che a torto o ragione può essere considerato come un nuovo governo dei viventi che radicalizza il progetto biopolitico di cui è prosecutore? Se, infatti, il concetto di “società” fa riferimento al socius latino (alleato, compagno, amico) e si riferisce a un gruppo di persone che collaborano insieme, di che tipo di organizzazione politica stiamo parlando quando l’altro deve essere tenuto a distanza e la vita controllata e quantizzata dal sistema bio-securitario? Questa ci sembra essere una delle domande decisive per comprendere non solo le prospettive della politica ventura e dei suoi dispositivi governamentali, ma anche – e soprattutto – nuove strategie, nuovi assetti, nuovi paradigmi, insomma nuovi assembramenti per ridisegnare le forme dello stare-insieme.
Quale casa sta bruciando? Il paese dove vivi o l’Europa o il mondo intero? Forse le case, le città sono già bruciate, non sappiamo da quanto tempo, in un unico immenso rogo, che abbiamo finto di non vedere. Di alcune restano solo dei pezzi di muro, una parete affrescata, un lembo del tetto, dei nomi, moltissimi nomi, già morsi dal fuoco. E, tuttavia, li ricopriamo così accuratamente con intonachi bianchi e parole mendaci, che sembrano intatti. Viviamo in case, in città arse da cima a fondo come se stessero ancora in piedi, la gente finge di abitarci ed esce per strada mascherata fra le rovine quasi fossero ancora i familiari rioni di un tempo[31]
Note
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La retorica che associa il virus COVID-19 a un “nemico invisibile” è stata largamente utilizzata dai principali leader mondiali in tempo di pandemia. Per citarne alcuni: Donald Trump (https://www.theguardian.com/world/video/2020/mar/23/invisible-enemy-trump-says-he-is-wartime-president-in-coronavirus-battle-video – ultimo accesso 20.09.2021), Boris Johnson, (https://www.theguardian.com/politics/2020/apr/27/boris-johnsons-post-coronavirus-speech-what-he-said-what-it-means – ultimo accesso 20.09.2021) e Giuseppe Conte (https://video.corriere.it/video-embed/9228152e-6ec0-11ea-925b-a0c3cdbe1130?playerType=article&autoPlay=false&cookiePolicyAccepted=true&gestione_AMP=true – ultimo accesso 20.09.2021). ↑
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L. Di Valvasone, Divieto di assembramento o di assemblamento?, in «Accademia della Crusca», 29 maggio 2020, da https://id.accademiadellacrusca.org/articoli/divieto-di-assembramento-o-di-assemblamento/472 (20.09.2021). ↑
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“Assembramento” in Dizionario Tommaseo, da http://www.tommaseobellini.it/#/items (20.09.2021). ↑
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“Assembramento” in Dizionario Garzanti, da https://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=assembramento (20.09.2021). ↑
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F. Ciannamea, Libertà di riunione e possibili limitazioni. Con uno sguardo al Decreto Minniti e alla direttiva del Ministero dell’Interno sulle manifestazioni urbane, in «Giurisprudenza Penale», n. 10, 2017. ↑
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Art. 20, 22, 24 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773. ↑
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Art. 1 comma 2, Decreto legge del Presidente del Consiglio dei Ministri, 9 marzo 2020. ↑
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E. Weizman, Surveilling the Virus, in B. Evans (a cura di), The Quarantine Files: Thinkers in Self-Isolation, in «Los Angeles Review of Books», 14 aprile 2020,
https://lareviewofbooks.org/article/quarantine-files-thinkers-self-isolation/?fbclid=IwAR2bk9Zp5QXSPupDlgD39Iwvx9Tww_SfkExVv-GgMyJuuVtAvEFC3SrXgM8#_ftn24 (20.09.2021). ↑
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Tra i più significativi ricordiamo: il sindaco di Bari, Antonio Decaro, immortalato in una serie di video in cui rincorre gruppi di persone “assembrate”: https://www.youtube.com/watch?v=KdtwzvY_IV8 (20.09.2021); il sindaco di Milano, Beppe Sala, dispiegando droni e sistemi di controllo per rilevare assembramenti: https://www.youtube.com/watch?v=sh1oPN5AsaE (20.09.2021); Vincenzo De Luca incitando l’arrivo dell’esercito per contenere gli assembramenti religiosi durante le festività pasquali: https://www.youtube.com/watch?v=T0O9SPLraeE (20.09.2021). ↑
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Israele, ad esempio, starebbe aumentando le esportazioni di sistemi di sorveglianza per controllare l’evolversi della pandemia COVID-19. Da https://www.haaretz.com/israel-news/.premium-israel-eyes-expending-export-of-surveillance-systems-in-shadow-of-coronavirus-1.8838783 (20.09.2021). ↑
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Intervista agli ideatori dell’app Crowdless, https://oxsci.org/crowdless-oxford-students-start-up-at-the-forefront-of-covid-19-fight/ (20.09.2021). ↑
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H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino 1951/2004. ↑
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S. Graham, Foucault’s boomerang: the new military urbanism, in «opendemocracy», 14 febbraio 2013, https://www.opendemocracy.net/en/opensecurity/foucaults-boomerang-new-military-urbanism/ (20.09.2021). ↑
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(8) Op. cit. ↑
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http://www.governo.it/sites/new.governo.it/files/DPCM_20201024.pdf (20.09.2021). ↑
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“Frequentatore” in Dizionario Treccani, https://www.treccani.it/vocabolario/frequentatore/ (20.09.2021). ↑
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Cfr. K. Kerényi, Religione antica, Adelphi, Milano 2001. ↑
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Ci si riferisce ai testi di Susan Sontag, Illness as metaphor, Farrar, Straus and Giroux, New York 1977; e AIDS and its metaphors, Farrar, Straus and Giroux, New York 1989. ↑
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Per un approfondimento delle tematiche si veda Stephen Graham, Cities under siege. The new military urbanism, Verso, London, New York 2011. ↑
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Notevole, ad esempio, l’uso frequente, tra luglio ed ottobre 2020, dell’espressione “artiglieria pesante” da parte del governatore della regione Veneto, Luca Zaia, per parlare del piano anti-COVID della sanità veneta. ↑
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Un esempio tra i tanti: la piattaforma Digitale SUS (Sistema unico di segnalazione) nella quale i cittadini di Roma potevano, durante il primo lockdown nazionale italiano, segnalare assembramenti scorgendoli dalla finestra della propria abitazione, https://www.comune.roma.it/web/it/di-la-tua-segnala.page (11.01.2021) ↑
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Emblematica la normatizzazione della pubblica piazza, nella sua dimensione spaziale e sociale: «Lo svolgimento delle manifestazioni pubbliche è consentito soltanto in forma statica, a condizione che, nel corso di esse, siano osservate le distanze sociali prescritte e le altre misure di contenimento, nel rispetto delle prescrizioni imposte dal questore ai sensi dell’articolo 18 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773» (Art.1, decreto legge del presidente del consiglio dei ministri, 11 giugno 2020). ↑
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Cfr. D. Haraway, Staying with the Trouble. Making Kin in the Chthulucene, University of Chicago Press, Chicago 2016. ↑
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B. S. Turner, The Body and Society, Blackwell, New York 1984. ↑
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Cfr. R. Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita, Einaudi, Torino 2002. ↑
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Cfr. G. Agamben, A che punto siamo?, Quodlibet, Macerata 2020. ↑
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Cfr. L. Mastromauro, La macchina geopolitica. Dal dominio alla destituzione della Terra, in «Laboratorio di Archeologia Filosofica», 25 marzo 2021, disponible al seguente link: https://www.archeologiafilosofica.it/la-macchina-geopolitica-dal-dominio-alla-destituzione-della-terra/ (20.09.2021). Cfr. S. Elden, Terror and Territory. The spatial extent of sovereignty, University of Minnesota Press, Minneapolis 2009, p. XXIX: «Esiste quindi un possibile collegamento diretto tra “territorio” e “terrore”. Il terrore, così come “terrorizzare”, deriva, in modo non troppo problematico [more nonproblematically], da “terrere”. Seguendo questa logica, “territorium” sarebbe un luogo da cui le persone sono spaventate, o dove si esercita il terrore, come suggerisce l’epigrafe di Pomponio». ↑
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Cfr. É. Benveniste, Due modelli linguistici della città, in «Essere di parola. Semantica, soggettività, cultura», Mondadori, Milano 2009. ↑
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Cfr. B. Bonavita, Bill Gates e la nemesi tecno-medica, Edizioni Efesto, Roma 2020. ↑
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G. Agamben, Quando la casa brucia. Dal dialetto al pensiero, Giometti & Antonello, Macerata 2020, p. 10. ↑