Massimo Triches, Marco Ballarin | Città fragile | Vol II | Futuri urbani
Il rapporto tra tempo e spazio ha subito un grande cambiamento dall’inizio della società industriale, e ha portato gran parte dell’umanità a dividere la quotidianità in due unità di tempo e di spazio molto distinte: quella del lavoro e quello della vita privata. Questa rivoluzione – ancora inconclusa – che ha trovato nuova energia nella rivoluzione digitale e nello sviluppo delle tecnologie ICT, ha rafforzato la reciproca distinzione del tempo e dello spazio in due unità diverse tra loro complementari. Il nostro tempo-spazio – quello della nostra società – è sempre stato caratterizzato da una forte distinzione tra queste due fasi, individuando luoghi prettamente dedicati al tempo del lavoro e luoghi prettamente dedicati al tempo della vita privata. Nonostante i molti tentativi – anche significativi e interessanti, sia dal punto di vista architettonico che urbano –, le due unità di tempo hanno sempre più allontanato le due unità di spazio. Solo la più recente diffusione dell’oggetto smartphone, ridisegnando «la postura di noi umani in modo spettacolare» (Baricco 2018, p. 24), sembra rivoluzionare nuovamente e drasticamente il rapporto con queste due unità di tempo-spazio così distinte. La percezione del tempo e dello spazio nella società “connessa” è distintiva di un ritorno alla promiscuità che caratterizza quest’epoca. La discontinuità continua permessa dalla connessione alla rete confonde i tempi e i luoghi del privato con quelli del lavoro e viceversa, ma soprattutto sembra impedire la distinzione di una qualsiasi vocazione dello spazio. In termini generali, il dispositivo-protesi a cui affidiamo parte delle nostre relazioni lavorative e private tratta lo spazio indistintamente: non stabilisce né gerarchie né vocazioni dei luoghi, perché tutti questi sono filtrati dal dispositivo, sono sempre scenari del soggetto. Dato il continuo sviluppo delle tecnologie di supporto, la relazione tra uomo e dispositivo continuerà a modificarsi; ma ciò che appare tristemente poco discusso, pur se decisamente importante, è la crisi qualitativa e formale dello spazio fisico che questa situazione sta producendo.
I luoghi pubblici, in seguito alla rivoluzione industriale, hanno cominciato a specializzarsi: le strade, pur rimaste luoghi di scambio hanno subito il prevalere della mobilità; le piazze, pur rimanendo luoghi aggregativi hanno assunto una dimensione rappresentativa, di culture o di identità culturali. Questi fenomeni sono il frutto di un articolato e lungo processo che ha portato alla dispersione e funzionalizzazione del costruito nel territorio italiano, a cui è corrisposta una dispersione dei centri della vita sociale che ha svuotato di senso e di servizi i centri originari a cui il territorio faceva riferimento. La dispersione territoriale che ha originato realtà urbane anche molto estese non ha saputo però ricucire quel rapporto interrotto nel diciannovesimo secolo dalla crescente società industriale: lo spazio naturale è divenuto sempre più luogo marginale e solo la sua perimetrazione, istituzionalizzazione e funzionalizzazione ne ha permesso parzialmente la sua manutenzione.
Una crescente domanda di welfare ha accompagnato lo sviluppo urbano e ha portato alla realizzazione di luoghi adeguati ad altre pratiche: alla definizione dei luoghi dell’Abitare e del lavorare si è aggiunta quella di altri luoghi connessi a una terza unità di tempo, quella del tempo libero. La crescita di queste attività, anche in forma controllata, ha permesso il recupero e la preservazione di alcuni ambienti naturali ma anche la loro antropizzazione. Questo è avvenuto comunque a discapito di altre aree escluse dal sistema, interessate – a causa di crisi ed emergenze provocate da calamità naturali – da forme di gestione molto più onerose e meno organiche. La manutenzione di alcuni Territori – un tempo parte del sistema vitale, oggi dimenticati e relegati ai margini – è un tema fondamentale in un Paese “fragile” come l’Italia. In questo processo si legano due storie a cui corrispondono due movimenti in parte opposti e contraddittori: da un lato la «storia di discesa» (Pazzagli 2016, p. 19) che ha caratterizzato un’Italia orograficamente alta in cerca di realtà lavorative più solide in pianura; dall’altra, la colonizzazione di «luoghi sino ad allora deserti» (Corboz 1992, p. 223) in ragione del godimento privato di una società che alterna il tempo del lavoro a quello della villeggiatura. Nel dopoguerra, le condizioni economiche di alcune regioni, prevalentemente montane, avevano prodotto «un’imponente alluvione demografica che aveva invaso le fasce litorali» (Gambi 1972) oggi ancora inconclusa e aggravata proprio nel periodo delle vacanze. Lo sfruttamento dell’unità di tempo libero porta così altre regioni montane, pur condizionate da fenomeni di spopolamento, a vivere momenti di colonizzazione temporanea spesso non sufficienti alla manutenzione di un territorio il cui patrimonio viene spesso consumato e mercificato più che valorizzato come risorsa da preservare.
Se per alcune aree la condizione di marginalità è intermittente e intimamente legata alle unità di tempo, molte delle loro criticità corrispondono a quelle individuate per le “Aree Interne”. Queste aree, caratterizzate da un limitata accessibilità ai servizi di base, sono state individuate all’interno del Programma Nazionale di Riforma promosso nel 2014 dall’allora Ministro della Coesione[1] che ha promosso un’“inversione dello sguardo” su questi territori «visti non più come un problema, ma anche come opportunità» (De Rossi 2018, p. 5). La prospettiva offerta dalle riflessioni sulle aree interne è essa stessa un’opportunità, perché offre paradigmi interpretativi e d’analisi recentemente poco valorizzati, intendendo il territorio come un sistema, un «prodotto della storia… intesa come processo in cui interagiscono costantemente uomo e natura» (Pazzagli 2017, p. 19). Lo sguardo sulle Aree Interne aiuta a comprendere il territorio come un patrimonio, come sistema di beni comuni il cui valore è da riscoprire proprio attraverso uno studio di sistema. Queste aree, e altre non appartenenti alla classificazione ma con problemi molto simili, non possono essere considerate solamente come un territorio da attrezzare (Renzoni 2018, p. 147), ma piuttosto come aree carenti di una progettazione organica e complessa in cui paesaggio, infrastruttura – antropica o naturale – e costruito sono risorse esistenti per le quali immaginare nuove relazioni.
In questo contesto, ci sembra interessante verificare le potenzialità di questo nuovo scenario immaginando le relazioni tra alcuni beni di lunga durata – un’infrastruttura naturale come un fiume e un sistema urbano di ridotte dimensioni – in rapporto all’edilizia scolastica che risulta tra i fattori di esclusione dalle aree interne pur essendo il territorio a cui appartiene economicamente e socialmente depresso.
La relazione reciproca, a volte l’interdipendenza, che lega le questioni della gestione del territorio e delle città – sotto il profilo amministrativo, economico, sociale, culturale e della Pianificazione – a quelle relative all’edilizia scolastica – la sua visione educativa, la sua programmazione, la gestione delle sue risorse e dei suoi spazi – in Italia è nota e descritta da almeno quarant’anni[2]. Nonostante il cambio di secolo e di millennio, tali questioni rimangono ancora aperte e spesso vengono affrontate puntualmente senza visioni strategiche e sistemiche.
Sarebbe miope guardare a questo aspetto esclusivamente pensando all’urgente e necessaria manutenzione edilizia puntuale, senza allargare l’orizzonte a una visione strategica dell’intero patrimonio, in molti casi in fin di vita. Per immaginare un vero rilancio di questa preziosa eredità occorre superare la frammentazione che oggi porta a considerare le sfide elencate come elementi separati tra loro.[3]
Allo stato attuale, secondo l’anagrafe dell’edilizia scolastica del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (MIUR), in Italia gli edifici scolastici sono circa quarantamila, dei quali circa due terzi sono stati realizzati più di quarant’anni fa. Ad accompagnare la vetusta età di questi fabbricati si riscontrano molteplici e differenziati problemi di salute degli edifici che caratterizzano globalmente e trasversalmente il territorio nazionale. Si tratta, ad esempio, dell’impiego di materiali scadenti o non idonei alle nuove normative, l’inadempimento agli odierni criteri antisismici e dell’abbattimento delle barriere architettoniche, gravi carenze dal punto di vista della sostenibilità ambientale e dell’efficienza energetica, scarse manutenzioni ordinarie e straordinarie. Inoltre gli spazi scolastici sono ancora conformati per rispondere ad attività e usi legati alla didattica tradizionale basata prevalentemente su lezioni frontali caratterizzata dal modello con lavagna a parete, cattedra rialzata su un podio e banchi disposti su file parallele[4].
Per questi motivi, negli ultimi anni e su tutto il territorio nazionale gli enti pubblici hanno dato inizio a un’epoca di profondo rinnovamento fisico, spaziale e teorico del loro patrimonio immobiliare scolastico. Attraverso numerose iniziative concorsuali, gare e affidamenti d’incarico diretti, si stanno moltiplicando gli interventi di recupero, messa in sicurezza, adeguamento e trasformazione degli edifici scolastici e dei loro spazi aperti. Il solo MIUR negli ultimi cinque anni ha promosso iniziative e finanziamenti che complessivamente ammontano ad alcune centinaia di milioni di euro ripartiti su diverse migliaia di interventi puntuali[5]. Tra queste iniziative, una delle più significative è stata il concorso di idee “#scuoleinnovative” per la progettazione, in tutta Italia, di «51 nuove scuole sostenibili, all’avanguardia e a misura di studente»[6]. Si tratta di un’iniziativa piuttosto lunga e complessa – iniziata nel 2015 con le candidature da parte dei comuni e la selezione delle aree e degli enti coinvolti, seguita dalla pubblicazione del bando a luglio 2016 e la consegna a ottobre dello stesso anno – che ha coinvolto oltre 3.000 professionisti che hanno partecipato alla presentazione di 1.238 proposte complessive (MIUR 2016, p. 5).
Pur nell’incertezza del processo per l’affidamento di incarico, il piccolo Comune di Pescina, in provincia dell’Aquila, si è adoperato per incontrare la forma più adeguata per proseguire con il progetto vincitore del primo premio. Durante il lungo processo di valutazione e di pubblicazione dei risultati, gli immobili esistenti nel plesso scolastico sono stati dichiarati inagibili in seguito a una valutazione antisismica, obbligando l’amministrazione comunale a installare dei container a uso didattico. Questa situazione critica ha creato le condizioni per procedere con i successivi livelli di progettazione, data la necessità di offrire al futuro di Pescina un presente adatto alla sua formazione.
Pescina è un piccolo comune dell’appennino abruzzese (735m s.l.m.) distante pochi chilometri della piana del Fucino, lungo la valle del fiume Giovenco. Il nucleo urbano è abitato da meno di 4.000 residenti con un trend demografico che, nei primi vent’anni del nuovo millennio, ha registrato un costante e preoccupante fenomeno di spopolamento[7]. Nota per aver dato i natali al cardinale Giulio Mazzarino (1602-1661) e allo scrittore Ignazio Silone (1900-1978), Pescina è stata gravemente danneggiata dal terremoto del 13 gennaio 1915 che ne ha distrutto completamente il centro storico – un piccolo agglomerato di abitazioni affacciate sulla sponda sinistra del Giovenco – provocando la morte di circa il 70% della popolazione[8]. Tale drammatico episodio ha segnato il quasi totale abbandono del nucleo storico. Solamente nei decenni successivi sono stati recuperati alcuni palazzi antichi, il Duomo e il convento di San Francesco – sede di alcune istituzioni culturali come il centro studi e il museo Silone –; inoltre sono state restaurate alcune abitazioni private dove vivono poche decine di persone – forse meno – animate dal desiderio di riappropriarsi di questi muri e di questi luoghi (Ardito 2015, p. 34).
La ricostruzione di Pescina, così come le successive espansioni urbane, ha invece occupato aree un tempo ai margini del centro storico arroccato. Queste si collocano lungo le due direttrici principali che da qui si diramano costituendo le principali infrastrutture del territorio: la strada SS83 Marsicana che collega Pescina con Avezzano e con il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise; e il Giovenco che, a partire dal Monte Pietra Gentile, alimentava il lago del Fucino, oggi sede dell’omonima piana agricola. Il Giovenco è l’unico immissario del lago che, fin dai tempi romani, fu oggetto di opere infrastrutturali per consentire il controllo del suo livello vista l’assenza di un emissario. Frequenti erano infatti le esondazioni del lago nei paesi costruiti sulle sue sponde, tanto che l’imperatore romano Claudio (10 a.C.-54 d.C.), in seguito a undici anni di lavori, riuscì a realizzare un primo sistema di canali sotterranei per consentire lo scolo delle acque. A queste opere si aggiunsero quelle del Principe Alessandro Raffaele Torlonia (1800-1886) che decise di bonificare il lago per realizzare una grande piana agricola, omonima del precedente lago. La storia di queste acque è raccontata dalla forma delle terre, ma soprattutto dal fiume, il Giovenco, attorno al quale si trova Pescina, il nucleo abitato più importante lungo le sue sponde. Questo fiume e la strada statale 83, pur sviluppandosi in due direzioni opposte, disegnano il paesaggio urbano del paese, caratterizzato da un sistema di terrazzamenti adagiato lungo le due sponde del fiume. Questo sistema è stato abitato con edifici di piccole dimensioni interrotti da numerosissime scale pubbliche per il raccordo pedonale dei diversi terrazzamenti. Proprio dove l’infrastruttura naturale e orografica e quella della mobilità s’incontrano trova spazio il luogo di maggiore rappresentanza della Comunità: la piazza Mazzarino e la sede del Municipio. Tuttavia, tale incontro non è il frutto della comunione dei valori che quelle infrastrutture portano con sé: essere sistemi territoriali e di relazione a scale molto diverse. Prevale infatti l’aspetto funzionalistico dell’infrastruttura veicolare che, per favorire l’attraversamento del paese, domina il fiume Giovenco, protagonista assente del contesto urbano che determina. La strada e la piazza costringono le acque in una condotta sotterranea privando lo spazio, fortemente connotato da una dimensione orizzontale inappropriata al contesto, di qualsiasi integrazione visiva e paesaggistica con l’ambiente fluviale. Questa soluzione limita anche l’uso sociale e comunitario dello spazio, non più piazza di rappresentanza ma spazio dell’automobile, non solo della circolazione ma anche della sosta e del rifornimento (qui infatti è collocato l’unico distributore attivo del paese).
Piazza Mazzarino diviene dunque il simbolo di uno Spazio pubblico che ha perso la propria vocazione, come ambito della vita comunitaria e della condivisione sociale. In un territorio condizionato da evidenti ostacoli allo sviluppo economico, urbano, culturale e sociale – analogamente a quanto avviene nelle “Aree Interne” del Paese – la mancanza di adeguati spazi in grado di supportare e animare la vita comunitaria diviene un fattore che incrementa il fenomeno di spopolamento. Il progressivo abbandono del centro urbano condiziona il continuo impoverimento degli spazi pubblici e delle opportunità di socializzazione per la comunità che soffre un’aggregazione sempre più generazionale e localizzata in spazi principalmente privati e fortemente caratterizzati. Le scarse opportunità d’incontro nel paese vengono assorbite dalle principali attività commerciali e di ristoro collocate presso la piazza Mazzarino e lungo la strada statale Marsicana. Gli spazi propriamente pubblici della città – il centro storico, le due chiese di San Giuseppe e della Basilica delle Grazie e le piazzette antistanti, la piazza XXIV maggio e gli impianti sportivi in prossimità dell’Istituto Comprensivo “Fontamara” –, sono gli altri luoghi della condivisione che però ospitano temporaneamente attività di singoli gruppi di persone e, salvo rare occasioni di eventi pubblici, non sono in grado, da soli, di rappresentare il luogo d’incontro principale della comunità. Il fiume Giovenco, con i suoi argini, le sue sponde e i suoi affacci urbani potrebbe divenire, attraverso un progetto integrale che si interessi della gestione delle acque come della progettazione degli spazi pubblici, la principale infrastruttura sociale, culturale ed economica di Pescina.
L’area di progetto individuata dal Comune di Pescina per la realizzazione dell’Istituto Comprensivo “Fontamara” si colloca in una posizione baricentrica rispetto al tessuto urbano della città. A circa 300 metri dalla piazza Mazzarino, in direzione sud-ovest seguendo il corso del Giovenco, trova spazio un’ampia zona semi-pianeggiante che abbraccia il fiume e che ospita gli edifici esistenti dell’istituto scolastico – la scuola primaria, quella secondaria, la palestra, ecc. – e le loro pertinenze ludico-sportive esterne. Si tratta di una superficie di circa 12.000 metri quadri equamente divisa tra i due versanti separati dal fiume e che oggi, pur essendo di proprietà comunale, hanno diversa destinazione funzionale e utilizzo: la sponda idrografica destra (a ovest), delimitata da una pista ciclabile che segue il corso delle acque fluviali, è sede dei fabbricati e delle attività scolastiche; quella sinistra (a est), apparentemente meno curata e meno antropizzata, è invece occupata in modo informale da orti e frutteti urbani coltivati spontaneamente da alcuni abitanti del luogo[9]. I due ambiti sono collegati tra loro da una passerella pedonale di recente realizzazione, tangenziale alla pista ciclabile, che si dissolve in maniera anonima verso la zona agricola. Le pertinenze dell’Istituto Comprensivo “Fontamara”, delimitate dai muri di sostegno dei terrazzamenti a nord, e da una recinzione continua che ne gestisce gli accessi pedonali e carrabili, occupano dunque solamente una piccola porzione dei lotti a disposizione e non instaurano nessuna relazione, se non quella visiva piuttosto limitata, con il Giovenco e con la grande area verde a esso affacciata.
Il progetto vincitore dello studio Babau Bureau di Venezia – assieme a Andrea Ambroso, Carlo Neidhardt, Luisina Mainero, Riccardo Modolo e Andrea Stevanato – dispone la nuova scuola in entrambi i fronti fluviali costruendo un nuovo suolo – o terrazzamento – pubblico di connessione tra i due fronti urbani in grado di definire un nuovo spazio per la condivisione e per la vita comunitaria dell’intero paese (MIUR, 2016, pp. 511-527). L’atto fondativo del progetto, accompagnato dal motto “la scuola è paesaggio”, è infatti contraddistinto da questa particolare idea insediativa e dalla volontà di concepire un edificio dal forte carattere urbano e indissolubilmente radicato nel paesaggio al punto da assumere, contemporaneamente, diversi ruoli e significati. Dal punto di vista urbanistico, il progetto vuole essere una centralità urbana, un percorso pubblico e un nodo connettivo. A livello architettonico è un edificio scolastico, al piano terra, mentre lungo la sua copertura diviene spazio associativo e comunitario, suolo connettivo capace di integrare sistemi di mobilità lenta. Paesaggisticamente è un nuovo terrazzamento, argine di difesa dalle esondazioni, parco pubblico, orto didattico e orto urbano. Partendo dalla richiesta del concorso di definire gli spazi di insegnamento e le pertinenze scolastiche il progetto trova il suo stimolo principale nell’opportunità di costruire e integrare il sistema di spazi pubblici organizzati lungo il corso del fiume Giovenco, nel tentativo di riscoprirne il suo valore sistemico di infrastruttura naturale, paesaggistica, culturale e sociale.
Con questi obiettivi, gli spazi didattici della nuova scuola secondaria sono collocati lungo la sponda idrografica sinistra del fiume e si impostano alla quota degli orti urbani esistenti. In questo modo, approfittando della differenza tra il livello di quest’area e quello dei fabbricati esistenti affacciati su via Amerigo Vespucci e su via dell’Ospizio, si genera un edificio seminterrato la cui copertura si colloca in continuità con i percorsi urbani citati. Sulla sponda opposta del fiume, in prossimità dei fabbricati scolastici esistenti, trova spazio il blocco dell’auditorium-aula magna che servirà non solamente la nuova scuola bensì l’intero Istituto Comprensivo “Fontamara”. Il nuovo edificio si colloca in prossimità dell’accesso carrabile nord dell’area scolastica ed è configurato in modo da raccordare i diversi livelli e gestire i differenti flussi di circolazione. In questo punto infatti si incrociano il traffico veicolare est-ovest e la pista ciclabile che segue il corso del fiume. Per garantire una migliore e più sicura permeabilità pedonale e allo stesso tempo introdurre una diramazione della pista ciclabile anche verso il versante urbano opposto, l’altezza e la pendenza della copertura del nuovo auditorium sono pensate in maniera tale da consentirne la fruizione pubblica garantendo l’indipendenza degli spazi di pertinenza della scuola negli orari extrascolastici. Inoltre, la configurazione planimetrica dell’edificio trasforma la copertura in una terrazza pubblica affacciata a sud verso il Giovenco, i campi sportivi e le nuove aree verdi. L’auditorium e le aule scolastiche, così come gli spazi pubblici su entrambe le coperture, sono collegati tra loro per mezzo di un edificio-ponte che permette di superare il fiume collegando contemporaneamente gli ambienti scolastici e i fronti urbani.
Nei volumi sulla sponda sinistra sono state collocate le nove aule per la didattica frontale, gli spazi ricreativi e quelli di servizio della scuola media. Essa, al fine di costruire un nuovo terrazzamento urbano, si sviluppa a “L” lungo i confini est e nord del lotto, dove si registrano i maggiori salti di quota dell’area. In questo modo si definisce un’ampia zona aperta, abbracciata da un lato dal fiume Giovenco e dall’altro dalla scuola. Quest’area verde è pensata per essere vissuta sia dagli studenti e dagli utenti della scuola, sia dagli abitanti del quartiere e da tutti i cittadini di Pescina. Per questo motivo, l’area è configurata come un grande parco urbano nel quale sono collocati a nord, in prossimità della scuola, gli orti didattici e a sud, facilmente raggiungibili da via Amerigo Vespucci, gli orti urbani a servizio dei residenti. Tali servizi, assieme alla funzione didattica e all’avvicinamento dei ragazzi alla natura e all’ambiente, vogliono generare una sensibilizzazione alla manutenzione e alla tutela del parco in prima persona da parte di tutti gli utenti.
I principi di conformazione dello spazio pubblico urbano vengono poi applicati anche nella conformazione dello spazio interno: una strada con tre diramazioni consente di accedere a tre blocchi in cui si trovano le nove aule, a loro volte raggruppate in gruppi di tre, ciascuno affacciato su un giardino comune. In questo modo, attraverso pareti mobili e grandi vetrate, è possibile configurare le aule in modi diversi, garantendo la flessibilità di utilizzo – anche a gruppi di più classi in contemporanea – e favorendo la didattica all’aperto pur rimanendo all’interno di ambiti sicuri e privati. La strada interna non svolge solamente la funzione distributiva ma assume il ruolo, proprio come il suo archetipo urbano, di luogo dell’incontro, della socialità, delle relazioni. Nonostante la difficoltà di raccordare quote e spazi eterogenei, il progetto si ispira ai principi dell’inclusione sociale rendendo accessibile l’intera area di intervento, favorendo la partecipazione alla vita educativa e comunitaria di tutti gli individui e intendendo questa attività alla base dell’inclusività, anche dal punto di vista intergenerazionale.
Il progetto di questa scuola riavvicina il nucleo urbano al suo elemento d’origine, il fiume e il territorio da esso condizionato per molto tempo; definisce un luogo funzionalmente distinto, ma attraverso questa sua specifica natura cerca di stabilire un continuum con lo spazio “naturale” del fiume e del suo parco, valorizzando le risorse esistenti stabilendo nuove relazioni.
Il nuovo plesso scolastico così configurato vuole ridare al fiume il suo valore di infrastruttura non solo ambientale, ma alla quale nel tempo si sono associate altre attività antropiche che hanno caratterizzato con accezioni diverse la sua funzione infrastrutturale. La collocazione della scuola in un’area esondabile obbliga la progettazione della nuova architettura a confrontarsi e arricchirsi con la progettazione di alcune opere di ingegneria fluviale e paesaggistiche. L’atto costruttivo intende abitare un luogo esteso, il fiume, entrando in rapporto con il suo sistema ecologico e produttivo, ridefinendo una nuova gerarchia delle presenze situate lungo il suo corso. Pensare a una scuola diviene un ragionamento sul territorio: dalle fonti alla piana del Fucino, origine e bene di lunga durata, materiale e immateriale, del vivere in questi luoghi. Il progetto scolastico-fluviale svolge così una doppia funzione: ricuce il rapporto tra i centri e i loro fiume, un tempo molto più stretto, e valorizza potenzialità esistenti nel territorio, favorendo la sua conoscenza e la sua manutenzione.
La progettazione architettonica ristretta a una specifica area diviene così origine di un progetto di gestione del territorio e di recupero paesaggistico, e lo fa proprio con lo spirito educativo che contraddistingue l’attività scolastica: conduce fuori da sé, dall’esclusivo ambito della progettazione scolastica, qualcosa che le è proprio[10], come migliorare il territorio e le forme della sua occupazione proprio attraverso la costruzione di un luogo dedicato all’educazione. L’integrazione del progetto architettonico con quello paesaggistico e viabilistico intende risolvere puntualmente una situazione che ha un respiro molto più ampio. La pista ciclabile esistente, essendo frammentata e sotto utilizzata, diviene rappresentativa della necessità di offrire mobilità differenti e più ecologiche in un contesto orografico adatto, ma soprattutto della possibilità di godere di una città altra, quella che lega i borghi alla loro ragione d’esistere, come il fiume e i campi agricoli, ma anche quella dei monumenti che preservano memorie diverse, umane e naturali, come la casa di Ignazio Silone, celebre scrittore italiano, o il cardinal Mazzarino, la cui torre si erge incerta a memoria del paese distrutto dal terremoto di inizio secolo. La nuova centralità definita dalla scuola e dal parco fluviale intende ristabilire una continuità tra le due condizioni di spazio e di tempo che troppo frequentemente caratterizzano gli spazi delle nostre città. L’infrastruttura urbana che si intende conformare non rappresenta il desiderio di costruire un’idea di natura o di paesaggio alternativi, ma la necessità di consolidare il rapporto tra il cittadino e il suo territorio considerando le specifiche caratteristiche di quest’ultimo come condizione primaria del suo welfare. Riscoprire la prossimità fisica, i luoghi e le attrattività specifiche del territorio che abitiamo attraverso tipi di mobilità meno impattanti sull’ambiente, forse ci consente di godere, lentamente e quindi più a lungo, del nostro tempo libero. Il progetto per l’ampliamento del plesso scolastico “Fontamara” non mira soltanto alla costruzione di un luogo dell’istruzione, ma vuole essere un luogo educativo globale: rafforza una comunità fin dalla giovane età dei suoi studenti favorendo la costruzione di una società responsabile del suo territorio attraverso l’abitabilità del suo tetto, nuovo spazio pubblico per tutta la comunità locale che avendo Cura del suo paesaggio cura anche sé stessa.
Bibliografia
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Corboz A., L’urbanistica del XX secolo: un bilancio, in P. Viganò (a cura di), Ordine sparso: saggi sull’arte, il metodo, la città e il territorio, Franco Angeli, Milano 1992, pp. 219-226.
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Dudek M., Baumann D., Schulen und kindergarten: Entwurfsatlas, Birkhauser, Basel 2007.
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Marchetti M., Panuzzi S., Pazzagli R. (a cura di), Aree interne. Per una rinascita dei territori rurali e montani, Rubettino, Catanzaro 2017.
MIUR, #SCUOLEINNOVATIVE Concorso di idee – proposte premiate e menzionate, Citra: Edilguida, Oliveto 2016.
Secchi B., Prima lezione di urbanistica, GLF Editori Laterza, Roma-Bari 2000.
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Tarpino A., Il paesaggio fragile. L’Italia vista dai margini, Einaudi, Torino 2016.
Paolino L., Pavesi A.S., Cagelli M., Guida alla progettazione degli edifici scolastici: verifica su base prestazionale e casi studio per la scuola dell’infanzia e primaria, Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2011.
Pazzagli R., Un paese scivolato a valle. Il patrimonio territoriale delle aree interne italiane tra deriva e rinascita, in M. Marchetti, S. Panuzzi, R. Pazzagli (a cura di), Aree interne. Per una rinascita dei territori rurali e montani, Rubettino, Catanzaro 2017, pp. 17-25.
Renzoni C., Il secondo Novecento: rappresentazioni dell’Italia ai margini, in A. De Rossi (a cura di), Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, Donzelli Editore, Roma 2018, pp. 141-156.
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Fonti web
https://www.istruzione.it/edilizia_scolastica/index.shtml
http://www.scuoleinnovative.it/bando/
http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=18545
http://www.terremotodellamarsica.it/
Didascalie immagini
Fig. 01: Carta della Diocesi dei Marsi, Febonio, 1678
Fig. 02: Lago del Fucino, Brisse & De Rotrou, 1883
Fig. 03: Piana del Fucino, Brisse & De Rotrou, 1883
Fig. 04: Foto aerea dell’area di progetto, GoogleMaps, 2016
Fig. 05: Progetto vincitore del concorso – assonometria, elaborazione Babau Bureau, 2016
Fig. 06: Sviluppo del progetto vincitore del concorso – plastico di progetto, elaborazione Babau Bureau, 2020
Fig. 07: Sviluppo del progetto vincitore del concorso – vista del nuovo parco pubblico, elaborazione Babau Bureau, 2020
Fig. 08: Sviluppo del progetto vincitore del concorso – il nuovo spazio condiviso della città (pianta delle coperture), elaborazione Babau Bureau, 2020
Fig. 09: Sviluppo del progetto vincitore del concorso –ambito scolastico (pianta piano terra), elaborazione Babau Bureau, 2020
Fig. 10: Progetto vincitore del concorso – vista delle corti scolastiche private, elaborazione Babau Bureau, 2016
Note
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La Strategia Nazionale delle Aree interne è confluita nell’Accordo di Partenariato all’interno della politica regionale 2014-2020, finanziata con specifiche leggi. ↑
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Si veda ad esempio Sansoni, N. (1979). ↑
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https://inchieste.ilgiornaledellarchitettura.com/scuole-italia-ripartire-patrimonio-edilizia-scolastica/ (Consultato: 28/02/2020) ↑
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https://scuola24.ilsole24ore.com/art/scuola/2019-11-26/edilizia-scolastica-la-sicurezza-servono-200-miliardi-euro-190928.php?uuid=AClI4Y1 (Consultato: 27/02/2020) ↑
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A tal proposito si veda la pagina delle linee di finanziamento del MIUR. https://www.istruzione.it/edilizia_scolastica/index.shtml (Consultato: 27/02/2020) ↑
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http://www.scuoleinnovative.it/bando/ (Consultato: 27/02/2020) ↑
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A tal proposito si vedano i dati raccolti dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=18545 (Consultato: 26/02/2020) e le statistiche demografiche raccolte nella Guida ai Comuni, alle Province e alle Regioni d’Italia https://www.tuttitalia.it/abruzzo/64-pescina/statistiche/popolazione-andamento-demografico/ (Consultato: 26/02/2020). ↑
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Si possono consultare numerosi articoli di giornali internazionali dell’epoca raccolti dal sito ufficiale http://www.terremotodellamarsica.it/ (Consultato: 17/02/2020). In particolare si segnalano gli articoli pubblicati da «La Stampa» dal 14 al 18 gennaio 1915. ↑
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A tal proposito si faccia riferimento alla documentazione ufficiale di concorso consultabile tramite il sito www.scuoleinnovative.it Nello specifico, per quanto riguarda l’area di Pescina, si veda http://www.scuoleinnovative.it/scuola/comune-di-pescina/ ↑
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si veda l’etimologia della parola educare [dal lat. educare, intens. di educĕre «trarre fuori, allevare», comp. di e- e ducĕre «trarre, condurre»]. ↑